“Algoritmo controllo - Imitation of consciousness”- Episodio 11
di Tommaso Landi
Episodio 11 - La fuga
Como, 15 settembre
«Deve sembrare che ce la siamo data a gambe con un’auto di lusso», disse Dellandito sottovoce, mentre Di Lauri lo osservava nell’ombra della rimessa sotterranea dell’Hotel.
«Questa andrà benissimo.» Davanti a loro c’era un bolide parcheggiato come un trofeo: vernice scura, calandra affilata, il tipo di macchina tanto amata dai frequentatori di Villa d’Este, una Lamborghini Diablo. Per una fuga veloce sarebbe stata la scelta perfetta.
«Quel Dino, il concierge starà al gioco?», chiese Dellandito all’amico.
«Certo è uno fidato, della vecchia guardia, sono andato da lui in privato e abbiamo concordato la scenetta».
La performance architettata dai due si era svolta, pochi minuti dopo, nella Hall, sotto una telecamera con i microfoni.
Matteo aveva finto di non ricordarsi della sua discreta esistenza e dandole le spalle aveva recitato la sua parte: «Dino, sono preoccupato, devo abbandonare l’albergo in tutta fretta», aveva detto e Dino, perfettamente calato nel ruolo, con voce preoccupata ma ossequiosa gli aveva risposto come stabilito: «Dottore prenda la Lambo, le recupero io le chiavi.»
Recitando il copione in quel luogo era cosa certa che qualche Lanzichenecco avesse ascoltato tutto. E poco dopo, quando lasciato Dino si era riunito a Dellandito era sicuro che, scendendo in garage, le telecamere li avessero ripresi.
«Adesso entra in macchina» disse a Dellandito, «qua sotto le lasciamo tutte aperte, usciremo dall’altra portiera, lì c’è un angolo cieco.»
«E poi?»
«Raggiungeremo il corridoio e passeremo dalla porta taglia fuoco. Guarda là in fondo Dino, lo vedi come si muove quando vuole farsi notare? È un attore nato. Gli ho detto di avviarsi verso il garage con le chiavi in mano, poi farà finta di gettarcele dentro l’abitacolo e andarsene passando dietro la macchina, invece, senza che lo possano vedere, salirà da dove siamo scesi e sgommerà via.»
«E se qualcuno controlla il garage?» chiese Dellandito, a denti stretti. «Se vedono che dentro la macchina c’è Dino?»
«Sono troppo pigri e si fidano ciecamente della tecnologia, fidati, controlleranno tutto dagli schermi, sarà un perfetto gioco di prestigio. Tu piuttosto hai chiamato Anna? Sei certo che ci aspetti giù al molo di servizio?»
«Non ho dubbi, mia moglie non perde mai l’occasione di guidare il nuovo motoscafo», i due si scambiarono uno sguardo di intesa.
Nell’aria c’era il sapore metallico della pioggia imminente.
Di Lauri continuò: «Dino uscirà sgommando e guiderà sino al cancello principale, e nel frattempo accenderà con il comando remoto tutte le luci del parco est, noi correremo a ovest verso il pontile, lì sarà tutto buio.»
Tutto funzionò alla perfezione, per alcuni minuti nessuno capì che la macchina non era la vera via di fuga.
«L’arte dell’illusione», pensò Dellandito, «sta nel far credere alla mente ciò che gli occhi vogliono vedere.»
E gli tornò in mente Magritte: «Questo non è un inganno, è la verità di un’illusione.»
Quando il motore della Lamborghini si mise in moto i due amici corsero veloci, scivolarono via dalle luci dorate di Villa d’Este riflesse dalle acque placide del lago e si immersero nel buio del parco Ovest.
Per essere fine settembre l’aria era insolitamente fredda, già frizzante, tagliente.
Anna li aspettava al pontile, una piccola torcia che lampeggiava nervosamente sullo scafo arancione era il segnale.
L’Orange Shark era un motoscafo agile, un nove metri compatto tipo Boston Whaler, una scheggia, l’ultimo acquisto dei Dellandito, un walk-around ottimo per le placide giornate d’estate, ma che ora sarebbe servito per una way out rapida.
Il concierge sfrecciava con l’auto di lusso sul viale d’uscita, esca perfetta che avrebbe garantito ai fuggiaschi qualche minuto di vantaggio.
Il rombo della Lamborghini coprì l’ovattato suono del motore dell’Orange Shark.
Anna innestò la marcia e l’imbarcazione si staccò dal pontile lasciandosi dietro una scia di spruzzi.
La loro fuga sull’acqua era iniziata, il lago aveva perso tutto il suo romanticismo trasformandosi in un abisso d’ebano nero.
Il motoscafo tagliava le onde a un ritmo incredibile.
Di Lauri si aggrappò al tientibene, la velocità sbatteva sulla sua faccia la brezza alpina gelida come una lama.
L’oscurità era insieme amica e nemica perché nascondeva sia loro che i pericoli della navigazione.
Il regolamento dei porti di Como non prevedeva che dopo il tramonto la testa dei pontili fosse segnalata da alcuna luce.
La notte sul Lario era scura, la luna nascosta dietro le nuvole.
Per evitare di essere vista dall’Hotel, Anna stava navigando senza le luci di via.
Questo li rendeva invisibili, ma aumentava il rischio di collisione.
Ogni ombra poteva essere una boa inattesa o, peggio, un pontile galleggiante isolato e non segnalato, pronto a squarciare lo scafo.
Ben presto i tre si accorsero che la finta fuga in auto era stata scoperta.
Per un istante sorrisero immaginando il vecchio Dino giustificarsi, fermato al cancello. Parlando in dialetto avrebbe sicuramente detto qualcosa come «Gavevi prescia».
Ma l’allegria durò poco, tre gommoni neri lasciarono il pontile di Villa d’Este, erano veicoli militari che sfrecciavano veloci in direzioni diverse, non lasciando nulla al caso.
Dopo poco la prua di uno dei mezzi puntò l’Orange Shark con troppa decisione per muoversi alla cieca, fu allora che Matteo esperto di tattiche militari capì.
«Visori termici! Stanno usando dei visori, il motore dell’Orange lanciato al massimo dei giri e i nostri tre corpi pieni di adrenalina creano una firma termica perfetta, non siamo più invisibili.»
«Ci stanno addosso!» gridò Dellandito, la voce portata lontano dal vento, l’avvocato ragionò in fretta, scese in cabina e prese la lancia razzi in dotazione, risalito in coperta sparò i traccianti, il lampo di luce accecò senza dubbio gli inseguitori che, infatti, virarono decisamente.
Anna intuì di aver qualche secondo di vantaggio e agì, gli occhi fissi avanti a sé. La rotta che aveva tenuto li stava portando verso il centro di Como, l’unica possibilità per confondere i sensori termici era di cercare riparo nell’indistinto alone di calore della città.
Decise di virare verso il pontile, anche se sapeva perfettamente che ciò avrebbe comportato un rischio. Punta Spartivento, vicino a Villa Geno, di giorno era segnalata da due pali che con il buio si trasformavano in una trappola mortale pronta a squarciare uno scafo lanciato a piena velocità.
La scelta era tra farsi raggiungere e catturare o rischiare di schiantarsi contro un ostacolo fantasma cercando la salvezza.
Con i capelli rossi incollati alla fronte dal vento, Anna prese la decisione in una frazione di secondo.
Diede un colpo brusco al timone stretto con le nocche bianche e sfruttando l’onda di poppa mandò lo scafo in una derapata violenta che sollevò spruzzi gelidi nel buio.
Per un istante, l’Orange Shark rischiò di ribaltarsi, il rumore costante del motore impediva loro di capire la posizione degli inseguitori.
La distanza guadagnata era il loro unico vantaggio. All’orizzonte, Anna localizzò il porticciolo fatiscente di “Marina Uno”, ridusse i giri del motore il cui rumore diventò un sussurro, e iniziò la manovra di accosto in silenzio, puntando un pontile galleggiante isolato e non illuminato, i black aut lì erano la regola.
Dovevano sbarcare rapidamente: il minimo errore, un calcolo sbagliato della corrente o un attracco troppo violento avrebbero prodotto un tonfo sordo contro la banchina di legno, suono capace di tradire facilmente la loro posizione e di allarmare chi, sui gommoni neri, li cercava a poca distanza.
Lo scafo accostò, millimetro per millimetro, Dellandito afferrò le cime di ormeggio, ma le sue dita rigide, intirizzite a causa del vento e del gelo, fecero una pessima gassa, come Anna non mancò di fargli notare rischiando di prendersi un insulto.
In qualche modo riuscirono ad assicurare l’imbarcazione, il motore si spense e il silenzio li avvolse.
Per un lungo istante, l’unico suono udibile fu il respiro affannoso dei tre e la lenta, ritmica risacca delle onde.
“Marina Uno” li aveva inghiottiti, potevano finalmente abbassare la guardia e lanciarsi, per far definitivamente perdere le loro tracce, nel bailamme di una Como ormai troppo turistica.
«Bene, Anna cosa ci aspetta a cena questa sera, Matteo sarà naturalmente ospite nostro.»
«Sei incorreggibile, abbiamo appena rischiato la vita e tu pensi alla cena.»
«Beh sai che la tensione mi mette appetito e poi, se non sbaglio, in casa oggi c’era odore di ragù.»
Episodi 1 e 2 Sulle sponde del Lago - La genesi di un’amicizia
Episodio 3 - I grandi della Terra
Episodi 5 e 6 - L’incontro - I cieli di Turner



