Algoritmo controllo – Imitation of consciousness - Episodio 7
di Tommaso Landi
Episodi 1 e 2 Sulle sponde del Lago - La genesi di un’amicizia
Episodio 3 - I grandi della Terra
Episodio 4 - L’ affabulatore
Episodi 5 e 6 - L’incontro - I cieli di Turner
La genesi
Como, 15 settembre.
Il crepuscolo, per Adrian Varga, non era mai stato un nemico. Era il suo regno, ambiguo, indefinito, preludio all’oscurità.
La suite dell’albergo non era solo una stanza, era stata preparata dal suo staff per assecondarne tutte le esigenze: era un rifugio studiato per non lasciare tracce. Dietro l’eleganza dei tendaggi in seta e dei mobili d’epoca, si intuiva una precisione fredda, quasi militare. I tappeti spessi smorzavano i passi, cancellando il suono dei movimenti. Le grandi finestre sul lago, che di giorno offrivano uno spettacolo incantevole, la notte diventavano specchi neri, pronti a riflettere i pensieri di chi vi passasse accanto.
Sul tavolo, ordinato fino all’ossessione, nessun dettaglio fuori posto: un computer portatile chiuso, un bicchiere di soda riempito a metà.
I fiori freschi che l’hotel cambiava ogni giorno sembravano fuori posto: troppo fragili e vivi, in un luogo dove tutto era controllato e nulla lasciato al caso.
Il letto, imponente e perfetto, non aveva pieghe, chi lo occupava non dormiva mai davvero.
Il bagno era un santuario, marmo bianco venato, rubinetti che brillavano come gioielli, e sui ripiani una serie ordinata di flaconi medici etichettati con cura. Un odore lieve di agrumi e spezie pervadeva l’ambiente.
Da quella stanza, di giorno, la vista era capace di togliere il fiato, ora, però, il lago appariva meno romantico e più sinistro: un’enorme distesa d’acqua scura.
Quella suite, adattata alle esigenze di Varga non raccontava lusso, ma potere.
Seduto alla scrivania, con la tenda appena socchiusa, Adrian osservava le luci di Torno.
Non beveva, non si abbandonava ai festeggiamenti come gli altri delegati giù nel salone delle feste, passava in rassegna gli appunti, i numeri, le sequenze. Per lui, il caos del mondo era un flusso che poteva essere decifrato, ridotto a uno schema.
Aveva imparato molto presto a vedere ciò che gli altri non notavano.
Nessuna emozione lo attraversò quando ricevette una telefonata: poche parole sussurrate cui rispose laconicamente: «Sarà sufficiente.»
Budapest, molti anni prima
Il vento tagliava i viali come una lama, sollevando la neve sporca dagli angoli delle strade. Nell’appartamento di Józsefváros, in una stanza troppo piccola per contenere tutte le speranze dei suoi genitori, nacque Adrian Varga.
Sua madre, Eszter, lo avvolse in una coperta ruvida, stringendolo al petto come se già sapesse che quel bambino non le sarebbe mai appartenuto del tutto.
«Adrian», mormorò Miklós, il padre, ingegnere ferroviario, con un orgoglio stanco nella voce, «il nostro Adrian.»
Il bimbo gracile crebbe biondo e allampanato.
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