“Algoritmo controllo - Imitation of consciousness”- Episodio 10
di Tommaso Landi
Episodio 10 - Chi controlla chi?
Como, 15 settembre.
Di Lauri lasciò la camera 54 e si diresse verso la sala server dell’albergo.
Il corridoio sotterraneo sembrava non finire mai. Le luci al neon ronzavano appena sopra la sua testa, proiettando una luminescenza livida sui pannelli ignifughi delle pareti.
Alla fine di una lunga teoria di porte di servizio, lo attendeva quella blindata della sala server: nessuna targhetta, soltanto l’occhio nero del lettore magnetico e un tastierino che lampeggiava con una costanza crudele.
La stanza che aveva raggiunto era il ventre tecnologico dell’albergo, nascosto sotto i corridoi di marmo e le lampade di cristallo della hall.
Il pavimento rialzato nascondeva grovigli di cavi e canaline, l’aria filtrata da condizionatori con speciali filtri anti polvere odorava di metallo e ozono.
Il suo obiettivo erano le decine di riquadri che si animavano delle immagini carpite dagli gli occhi dell’hotel, decine di telecamere posizionate in ogni angolo che il più delle volte riprendevano corridoi deserti, porte socchiuse, ascensori che si aprivano e si chiudevano senza tregua.
Il lusso dei piani superiori, riflesso da questi schermi grigi ad alta definizione, appassiva, il glamour spogliato di ogni discrezione diventava voyerismo.
Due postazioni operative attendevano chi avesse il diritto di sedervisi, ognuna dotata di display retroilluminati per gestire le telecamere e cuffie per ascoltare anche il più flebile sussurro.
La strumentazione in dotazione all’albergo poteva riavvolgere un frammento di tempo, isolare un volto, registrare un segreto.
La chiave magnetica scivolò nel lettore emettendo un lieve ronzio, e per un istante Di Lauri prefigurò la routine che si sarebbe svolta: badge, card reader, codice, luce verde, porta aperta.
Ma la luce non si accese. Il ronzio si spense. Il display della server room restituì un freddo ACCESSO NEGATO che suonò più minaccioso di qualsiasi sirena di allarme.
Di Lauri rimase un attimo con la mano sulla placca fredda del tastierino, sentendo sotto le dita il metallo che pulsava con un ronzio profondo e continuo.
Attraverso il piccolo oblò di vetro blindato si poteva scorgere il bagliore intermittente del video wall: riquadri che cambiavano e ricambiavano immagine, tutto il mondo dell’hotel scomposto in piccole tessere luminose.
Sulla parete esterna, accanto al lettore, un piccolo adesivo riportava le istruzioni per il protocollo di emergenza.
Gli occhi di Di Lauri scorsero su quelle parole senza fermarsi: procedure, numeri di contatto, avvisi sull’accesso limitato. I sensori biometrici e le telecamere esterne alla sala sorvegliavano la soglia, questa volta, però, chi non avrebbe dovuto entrare era lui.
Si voltò appena: tre figure avanzavano nell’ombra del corridoio, i Lanzichenecchi, come li chiamava lui, uomini in tuta mimetica, sorrisi misurati, movimenti studiati.
Uno dei tre lo apostrofò: «Problemi col badge, eh, capo?»
Di Lauri colse lo scherno nel tono dell’uomo che aveva parlato «Succede spesso», disse un altro con una risata asciutta che non lo rassicurò affatto.
Rimase fermo, il cuore che gli batteva nelle orecchie. Provò di nuovo: niente, ora era certo che le sue credenziali fossero state quantomeno sospese, i Lanzichenecchi non l’avevano ostacolato apertamente, ma il messaggio era chiaro, lui non era più autorizzato a sapere.
«Puoi controllare su agli uffici» suggerì il più anziano dei tre, utilizzando un inusuale tu che lo infastidì, «magari è solo una smagnetizzazione. Ti risolvono in un attimo.»
Di Lauri annuì, fingendo con naturalezza che tutto fosse in regola, e si diresse verso il piano di sopra come gli avevano consigliato.
Nella hall dell’albergo sfavillante tutto era pronto per la cena di gala che attendeva i grandi della Terra, la notizia della morte di Cho non era ancora stata resa di dominio pubblico.
Salì a due a due i primi gradini che l’avrebbero condotto al suo ufficio.
«Matteo», Dellandito lo chiamava.
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