PEC degli amministratori: lo spettro delle sanzioni oscura l’interpretazione normativa
di Giacomo Monti
Con nota n. 127654 del 25 giugno 2025, il MIMIT, come è già stato riportato su Blast, è intervenuto nuovamente sul tema dell’estensione agli amministratori dell’obbligo di comunicazione, presso il registro imprese, di un indirizzo personale di posta certificata. E lo ha fatto in quasi totale continuità con la nota precedente (la n. 43836 del 12 marzo 2025), salvo per la previsione di una nuova scadenza, fissata al 31 dicembre 2025.
Il differimento del termine viene giustificato dal Ministero in relazione alle criticità emerse, in ambito nazionale, in conseguenza di prassi camerali difformi, oltre che alle problematiche operative - sollevate da più parti - legate alla concomitanza con gli adempimenti di approvazione dei bilanci 2024.
Già in un paio di occasioni sono state riportate su Blast, da parte di chi scrive, le forti perplessità legate a questo nuovo obbligo. Tali dubbi si concretizzano, da un lato, nell’introduzione di un eccessivo fattore di complicazione - in contrasto con la semplificazione amministrativa, presumibilmente auspicata dal legislatore - e, dall’altro, nei potenziali rischi in cui potrebbe incorrere la società amministrata. Basti pensare al caso in cui un provvedimento amministrativo, indirizzato alla società, venga recapitato esclusivamente all’amministratore, il quale risulti negligente nella tempestiva verifica della propria casella PEC. Se a tutto questo aggiungiamo il caso di nomina di amministratori stranieri, tali rischi si accentuano ulteriormente.
Vediamo allora come si è sviluppata, nei mesi scorsi, la vicenda interpretativa.
A fronte di una posizione iniziale di Unioncamere particolarmente flessibile, il MIMIT è intervenuto appunto con la sopra richiamata nota n. 43836, nella quale il Ministero, non solo ha espresso una propria interpretazione normativa - particolarmente rigida - ma si è spinto addirittura oltre, introducendo termini e sanzioni non demandatigli, in via attuativa, dal legislatore. Il MIMIT ha ritenuto applicabile la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 2630 del Codice civile, fissando al 30 giugno 2025, il termine di esecuzione del nuovo adempimento.
Quasi immediata è stata la reazione della Conservatoria della Camera di Commercio di Verona che, condividendo la posizione iniziale di Unioncamere, ha comunicato a tutti i professionisti locali:
- l’accettazione dell’indicazione dello stesso indirizzo PEC della società amministrata;
- il disconoscimento della scadenza del 30 giugno 2025;
- l’inapplicabilità diretta della sanzione amministrativa di cui all’articolo 2630 del Codice civile.
Tutto ciò ha determinato, nel corso degli ultimi mesi, una situazione di generale confusione, caratterizzata dall’assunzione - anche a livello regionale - da parte delle Camere di Commercio, di orientamenti completamente difformi. Mentre in alcuni casi si è mantenuta una linea di pensiero coerente con la posizione iniziale di Unioncamere, in altri è stata assunta una linea interpretativa incline all’orientamento del MIMIT.
A parte ritenere particolarmente sconcertante che una norma “nazionale” possa assumere a livello “locale” connotazioni interpretative diametralmente opposte, chi scrive ritiene ancora più sconcertante la propaganda pubblicitaria che si è venuta a creare intorno alla questione.
Le società fornitrici di indirizzi PEC, “cavalcando” l’interpretazione a loro evidentemente più favorevole - assunta dal MIMIT - hanno avviato una capillare campagna promozionale, veicolando l’idea dell’obbligo, entro il 30 giugno 2025, di dotare ogni amministratore di un indirizzo PEC personale, onde evitare l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 2630 c.c. (da euro 103 a euro 1.032). Ne è derivata, indipendentemente dall’orientamento assunto dalle singole Camere di Commercio, una vera e propria corsa all’apertura di nuove caselle PEC, con conseguente pressione sui consulenti per provvedere tempestivamente alla relativa comunicazione.
Anche le associazioni di categoria hanno contribuito ad alimentare tale clima di apprensione generalizzata, diramando informative rivolte a imprese e professionisti che, nella sostanza, prescindevano del tutto dall’orientamento eventualmente più favorevole adottato in ambito locale. Come dire: “Visto che ci potrebbe essere il rischio di sanzioni, nel dubbio, attiva comunque l’indirizzo PEC personale e comunicalo in Camera di Commercio”.
Come sempre, e in questo inserisco anche “noi” consulenti, la paura della sanzione ha sovrastato l’interpretazione della norma. Se però la norma non prevede l’applicazione di una sanzione diretta, perché “nel dubbio” occorre sempre assumere la soluzione più prudente che “casualmente” è sempre quella più sfavorevole al contribuente?
Nelle scorse settimane, diverse Camere di Commercio hanno inviato comunicazioni informative, nelle quali viene confermato l’orientamento iniziale di Unioncamere. Tali comunicazioni, traggono origine da una nuova nota interna della stessa Unioncamere, di inizio aprile 2025, non resa pubblica, in cui si disconosce l’interpretazione fornita dal MIMIT a marzo 2025.
Resta tuttavia difficile comprendere come mai, nonostante la nuova nota interna di Unioncamere risalga ai primi giorni di aprile, alcune Camere di Commercio continuino imperterrite a richiedere la PEC personale degli amministratori e a riportare nei propri siti istituzionali la scadenza del 30 giugno 2025, come se nulla fosse mutato. Più che auspicare una revisione normativa, forse sarebbe più urgente ripensare l’assetto organizzativo delle Camere di Commercio stesse, affinché l’interpretazione di una disposizione di portata nazionale non possa variare a seconda del territorio, assumendo contorni disomogenei e talvolta contraddittori.
Ma soprattutto, come è possibile che la singola Camera di Commercio possa assumere orientamenti diversi da quelli assunti da Unioncamere, cioè dall’ente pubblico che ne coordina le attività?
Ecco, quindi, che, a pochi giorni dalla scadenza del 30 giugno 2025, arriva “in soccorso” il MIMIT, differendo - sempre per decisione assolutamente autonoma e di certo non richiesta dal legislatore - il “termine” di adempimento.
Fa quasi sorridere che il MIMIT, nell’enunciare le criticità emerse, faccia riferimento solo al termine di presentazione delle pratiche di comunicazione, senza menzionare in alcun modo la questione legata all’applicabilità delle sanzioni.
Ad avviso di chi scrive, è evidente che con il differimento disposto dal MIMIT si voglia procrastinare la soluzione del problema legato all’applicabilità o meno delle sanzioni, quasi sperando che, nel mentre, possa giungere una modifica normativa da parte del legislatore. Anche perché, dopo avere “minacciato” l’applicazione di sanzioni, chi spiega che ciò era assolutamente infondato?