Benvenuti, cari lettori, alla nuova puntata della telenovela italiana per eccellenza: "PEC degli amministratori - Tra obblighi, smentite e colpi di scena". Una serie che non ha niente da invidiare a Beautiful, con la differenza che qui i protagonisti non sono Ridge e Brooke, ma il MIMIT e Unioncamere, impegnati in un appassionante tango di comunicazioni contrastanti che tiene col fiato sospeso migliaia di amministratori di società.
Atto primo: nasce l'obbligo (forse)
Era il 1° gennaio 2025 quando la Legge di Bilancio ha partorito l'ennesimo capolavoro normativo: l'obbligo per gli amministratori di società di dotarsi di un domicilio digitale, ampliando la portata dell’articolo 5, comma 1, del Dl 18 ottobre 2012, n.179, convertito, con modificazioni, dalla L 17 dicembre 2012, n. 221. Fin qui, tutto normale. In Italia, se non complichi una cosa semplice, non sei un vero legislatore. Ma il bello doveva ancora venire.
Il MIMIT, con la solennità di chi annuncia la scoperta dell'America, ha emanato una circolare il 12 marzo 2025 stabilendo che ogni amministratore dovesse avere una PEC personale e - attenzione - entro il 30 giugno 2025. Pena? Sanzioni amministrative da 103 a 1.032 euro. Insomma, il classico "o la va o la spacca" all'italiana.
Atto secondo: Unioncamere entra in scena
Ma ecco che, come nei migliori thriller, arriva il colpo di scena. Unioncamere, con la flemma di chi spiega l'ovvio a un bambino di cinque anni, pubblica una nota che sostanzialmente dice: "Calma, ragazzi. Il MIMIT si è un po' emozionato".
Unioncamere con nota del 02 aprile 2025 amplia i soggetti obbligati stabilendo che sono tenuti a tale rispetto gli amministratori di tutte le imprese costituite in forma societaria, comprese le società di persone, di capitali, le cooperative e le società consortili, con esclusione delle società semplici non agricole, dei consorzi puri e delle società di mutuo soccorso.
Non dimentichiamoci che, dulcis in fundo, si può anche usare la PEC della società.
Successivamente, quasi con un piede sulla linea del traguardo, Unioncamere se ne esce con una nuova nota.
Risultato? Niente scadenza del 30 giugno, niente sanzioni automatiche!
Insomma, tutto quello che il MIMIT aveva detto con certezza granitica, Unioncamere lo ha spazzato via con l'eleganza di un maggiordomo inglese che riordina dopo una festa.
Atto terzo: il gran finale (si fa per dire)
E così, a pochi giorni dalla fatidica scadenza del 30 giugno, scopriamo che:
l'obbligo c'è, ma non c'è: vale solo per le nuove nomine o conferme. Gli amministratori già in carica possono continuare a dormire sonni tranquilli.
La PEC personale è obbligatoria, ma non troppo: va bene anche quella della società, purché si faccia "elezione di domicilio" (termine che suona tanto elegante quanto incomprensibile).
Le sanzioni ci sono, ma non si applicano: una sorta di Schrödinger legislativo, dove la sanzione esiste e non esiste contemporaneamente.
Il termine c'è, ma non c'è: 30 giugno secondo il MIMIT, mai secondo Unioncamere. Una questione di interpretazione, evidentemente.
L'arte italiana del "ni"
Quello che emerge da questa vicenda è un capolavoro tutto italiano: l'arte del "ni". Non sì, non no, ma "ni". Una norma che si applica ma non si applica, con sanzioni che ci sono ma non si applicano, entro termini che esistono ma non esistono.
Il povero amministratore di società, nel frattempo, si trova nella condizione del viaggiatore che chiede informazioni in stazione e riceve indicazioni contrastanti da ogni impiegato. "Primo binario!" grida il MIMIT. "Secondo binario!" replica Unioncamere. E il treno? Il treno passa, ma nessuno sa bene dove sia diretto.
Morale della favola
In questo bailamme di interpretazioni, chiarimenti, smentite e contro-smentite, una cosa è certa: in Italia, anche l'obbligo più semplice riesce a trasformarsi in un labirinto degno del Minotauro.
La digitalizzazione della governance societaria, nobile intento sulla carta, si è trasformata in una saga degna dei migliori autori di fantascienza kafkiana. Perché, quando si tratta di creare confusione normativa, noi italiani siamo sempre all'avanguardia.
E così, mentre gli amministratori aspettano il prossimo chiarimento (che probabilmente chiarirà tutto tranne quello che serve sapere), la saga continua.
That's Italia! Dove anche una semplice PEC può diventare un caso di studio per sociologi del diritto e materia per tesi di laurea in "Incertezza normativa applicata".
Stay tuned per la prossima puntata: "PEC amministratori 2 - La vendetta: questa volta è personale (o forse no)".
Ok, ora siamo seri. Questo è il frutto di un “gioco”.
Ho chiesto all’intelligenza artificiale che mi aiutasse a scrivere un articolo sarcastico in merito all’obbligo da parte degli amministratori di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, l’articolo ci strapperà sicuramente una risata (per quanto amara) ma la cruda realtà è che questo “nuovo” balzello ha rivelato ancora una volta lo stato di totale confusione in cui veniamo costantemente calati.
A cinque giorni dalla scadenza… arriva la proroga
Come sempre accade in Italia, la proroga arriva sul filo di lana: a cinque giorni dalla scadenza, ecco che il termine per l’iscrizione del domicilio digitale slitta ufficialmente al 31 dicembre 2025 per le società già costituite al 1° gennaio scorso. Il rinvio è stato ufficializzato con nota del 25 giungo 2025 del MIMIT.
Ancora una volta, quindi, si rileva che non vi è rispetto alcuno per la professionalità di chi dedica tempo e spende parole, circolari e approfondimenti per mettere al riparo il proprio cliente da sanzioni, ma soprattutto per indicargli la strada giusta da percorrere (per un adempimento tutto sommato banale), seguendo norme che, ci si aspetterebbe, dovrebbero essere formulate con una certa chiarezza.