Effetto domino della sentenza Italgomme: la CGT Liguria dubita degli accessi anche nelle abitazioni ad uso promiscuo
di Alberto Calzolari
Con ordinanza n. 173 dell’11 giugno 2025, la Corte di Giustizia Tributaria della Liguria ha sospeso il processo, accogliendo la richiesta del difensore della parte privata, appellante dopo la sentenza avversa di primo grado. La causa riguarda l’accertamento per maggiori Iva, Irap e Irpef nei confronti di una società Sas, gestrice di un hotel sulla riviera ligure. L’emissione dell’atto d’accertamento era fondata sulle verifiche svolte presso la sede dell’albergo e presso il domicilio di due soci, in particolare sui valori ritrovati presso l’abitazione a uso promiscuo del socio che dirige l’hotel e che vive nell’abitazione ricavata nella medesima struttura alberghiera.
La Guardia di Finanza, in conformità alla disciplina nazionale sugli accessi per le verifiche in loco (articoli 35 L. 4/1929, 33 Dpr 600/1973 e articoli 51 e 52 del Dpr 633/1972), aveva proceduto con l’ispezione presso la sede della Sas e presso le abitazioni dei due soci, ottenendo per quest’ultime l’autorizzazione del PM: nell’abitazione della socia, rappresentante legale, adducendo gravi indizi di violazione delle norme tributarie (inerenti alla gestione dell’hotel) e nell’abitazione a uso promiscuo del socio, senza specifica indicazione degli elementi idonei a configurare alcuna violazione. Dunque, la GdF aveva formalmente rispettato i requisiti autorizzatori di cui all’articolo 52 del Dpr 633/1972, che gradua le garanzie del domicilio a seconda che l’accesso avvenga presso la sede commerciale del contribuente (ove è sufficiente la sola autorizzazione gerarchica della GdF o dell’AF), presso l’abitazione a uso promiscuo (ove è sufficiente l’autorizzazione del PM senza la specificazione delle norme asseritamente violate) e presso l’abitazione a uso esclusivamente “privato” (che richiede l’autorizzazione del PM in ordine a gravi indizi di violazione delle norme tributarie).
La Difesa della società e dei singoli soci aveva opportunatamente contestato nel ricorso introduttivo l’illiceità degli accessi, a causa della insufficiente motivazione delle autorizzazioni, e il motivo era stato devoluto all’attenzione della Corte regionale: in particolare, quanto ritrovato nella cassaforte dell’abitazione destinata a uso promiscuo non poteva essere utilizzato come prova dell’accertamento, a causa della natura eminentemente esplorativa dell’accesso compiuto dalla GdF nell’abitazione di uno dei soci. Del pari opportunamente la difesa ha prodotto, nella memoria antecedente all’udienza di secondo grado, l’ormai celebre sentenza resa dalla Corte EDU nella Causa Italgomme Srl et alii v. Italia, che ha condannato lo Stato per l’illegittimità degli accessi compiuti presso i locali commerciali dei ricorrenti. Con tale produzione il difensore ha chiesto alla Corte la disapplicazione delle citate norme interne per l’asserito contrasto con la disciplina eurounitaria sull’Iva, e il rinvio alla Corte costituzionale per l’evidente contrasto delle norme medesime, relativamente alle verifiche in ambito Irap e Irpef, con l’articolo 117 della Costituzione in riferimento al parametro interposto di cui all’art. 8 della CEDU (che protegge il diritto alla riservatezza della vita privata e familiare).
La CGT della Liguria, probabilmente “ispirata” dall’ordinanza della Corte di cassazione dello scorso 6 maggio (si veda A. Calzolari su Blast del 14.5.2025, “La Cassazione prende atto della sentenza Italgomme sulla tutela del domicilio anche delle persone giuridiche”), ha a sua volta deliberato la sospensione del processo d’appello, rinviandolo a nuova udienza (del 13.10.2025) e invitando le parti a depositare le proprie osservazioni sulla rilevanza della sentenza Italgomme nel giudizio in corso. La pronuncia del consesso ligure è quantomai opportuna, poiché la sentenza europea ha avuto certamente il merito di focalizzare l’attenzione sull’assenza di garanzie nelle verifiche presso le sedi dell’attività lavorativa del contribuente (compresa la sede delle società), ma non devono essere trascurati i profili d’illegittimità degli accessi presso gli “altri luoghi” del contribuente. Il più volte citato articolo 52 deve essere modificato non solo perché prevede differenti gradi di tutela per le diverse tipologie di domicilio del contribuente, ma perché deve essere altresì stigmatizzata l’assoluta inadeguatezza dei controlli, sia ex ante sia ex post, sulla legittimità delle verifiche effettuate presso ogni tipologia di domicilio.
Seppure con diverse declinazioni, il rilievo dell’assenza di riserva sostanziale di legge, riscontrato dalla Corte EDU con riferimento all’articolo 8 della Convenzione, deve essere esteso alle verifiche compiute presso l’abitazione “privata” e presso l’abitazione a uso promiscuo del contribuente. Per quanto concerne l’abitazione a uso esclusivamente personale o familiare, non si deve dimenticare l’assenza di terzietà del soggetto che emette l’autorizzazione all’accesso (limite da cui è affetto anche il PM), e che nella sentenza Italgomme i giudici di Strasburgo hanno denunciato il vulnus della normativa nazionale consistente nell’assoluta assenza di un controllo giurisdizionale effettivo ex post. Venendo alla fattispecie rilevante per la pronuncia in esame, deve essere riscontrata l’assoluta illegittimità degli accessi compiuti presso l’abitazione a uso promiscuo, non potendo l’autorizzazione ex ante del PM sopperire ad alcuna delle seguenti lacune, rinvenibili nella normativa italiana
a) il PM non è un organo giurisdizionale terzo e super partes;
b) l’utilizzo dell’abitazione anche per finalità lavorative inopinatamente dispensa i verificatori dall’evidenziare i gravi indizi di violazione delle norme tributarie, al pari di quanto accade per gli accessi nel domicilio esclusivamente commerciale;
c) come accade per qualsiasi autorizzazione rilasciata ex articolo 52, non è indicato con adeguata motivazione che cosa ricercare all’interno dell’abitazione, quali sono i nessi pertinenziali tra le cose da ricercare e i fatti oggetto d’indagine, quali i criteri da utilizzare per la ricerca del materiale rilevante, al fine di assicurare anche il rispetto del principio di proporzionalità.
Forse i giudici liguri, oltre che nella citata ordinanza della Corte di cassazione, trarranno elementi utili, ai fini dell’ineludibile rinvio alla Corte costituzionale, anche dal disegno di legge depositato in Senato all’indomani della pronuncia della Corte EDU (cfr. A. Calzolari su Blast del 7.3.2025, “Presentato un ddl per l’adeguamento alla sentenza Italgomme”). Si rammenta, infatti, che, se la proposta di modifica legislativa è stata criticata poiché nulla ha disposto circa le verifiche presso il domicilio commerciale del contribuente, d’altro canto il Ddl del Senato è apprezzabile laddove mira a rafforzare il grado di tutela dei contribuenti relativamente agli accessi presso l’abitazione e, in specie, proprio riguardo all’abitazione a uso promiscuo. La motivazione dell’accesso, rafforzata con le risultanze delle indagini anteriori all’autorizzazione, e la tutela giurisdizionale al termine della verifica, sono infatti i tratti salienti della novella normativa proposta dal Senato. A prescindere da quanta sua parte sarà approvata dal Parlamento, certamente la novella depone come ulteriore testimonianza dell’assoluta contrarietà all’articolo 8 CEDU dell’attuale disciplina degli accessi presso i locali adibiti in tutto o in parte ad abitazione del contribuente.
In questi mesi, dunque, i giudici nazionali stanno prendendo atto che la vigente legislazione lascia alle autorità di controllo un potere discrezionale eccessivo, illimitato e perciò incompatibile con i vincoli che derivano dall’appartenenza al Consiglio d’Europa e dalla conseguente sottoscrizione della CEDU. L’articolo 52 deve essere riscritto al fine di eliminare anacronistiche disparità di garanzia tra le tipologie di domicilio e deve essere integrato da specifiche norme che disciplinino un tempestivo ed efficace controllo giurisdizionale, attuato da un giudice dotato di piena cognizione in fatto e in diritto.