La Corte EDU lo scorso 6 febbraio nella Causa Italgomme Pneumatici Srl et alii v. Italia ha imposto allo Stato di adottare modifiche alla normativa concernente gli accessi e le ispezioni nel domicilio del contribuente. Martedì 4 marzo nella Raccolta degli atti parlamentari del Senato è stato pubblicato il Disegno di Legge volto ad accogliere il decisum della Corte Europea, dunque a innovare la disciplina delle verifiche fiscali da eseguire presso la sede del contribuente.
Se, da un lato, è davvero apprezzabile che già l’11 febbraio due Senatori si siano fatti promotori dell’istanza di adeguamento proveniente dal Diritto convenzionale (la CEDU), dall’altro desta una forte perplessità il contenuto normativo della proposta di legge, che appare distonico rispetto a quanto stabilito dai giudici di Strasburgo. In particolare, è stupefacente l’assenza di continuità tra le premesse del DdL, contenute nella pregevole relazione accompagnatoria, e le disposizioni relative alle modifiche normative.
Ma andiamo con ordine. La sentenza Italgomme riguarda i ricorsi promossi da dieci soggetti italiani (precisamente da otto società di capitali, nella specie Srl, una ditta individuale e uno Studio professionale) che hanno contestato l’illegittima intrusione presso le sedi della loro attività lavorativa e le conseguenti ispezioni, condotte ad libitum dagli operatori dell’Agenzia delle Entrate oppure dai militari della Guardia di Finanza. Dunque, contestazioni concernenti la tutela, ex art. 8 CEDU, del domicilio nella fattispecie dei locali commerciali, ossia dei locali in cui sono svolte attività dell’industria o del commercio in senso stretto o attività delle professioni liberali. E così, conseguentemente, i giudici di Strasburgo hanno rilevato l’assoluta inadeguatezza dell’assetto normativo italiano circa la protezione del domicilio nella particolare dimensione della sfera dell’attività economica, anziché in quella della vita privata e familiare strettamente intesa.
Ebbene, se la relazione d’accompagnamento dei due Senatori appare sintonizzata con il decisum della Corte EDU (anche se indugia nell’analisi della Causa Brazzi v. Italia, precedente senz’altro importante, ma che riguarda le perquisizioni svolte a fini di indagini penaltributarie, peraltro presso l’abitazione del contribuente, anziché presso la sede dell’attività lavorativa) concludendo sulla necessità di introdurre una “supervisione indipendente e giudiziaria” ex ante (peraltro non richiesta dalla Corte EDU nella Causa Italgomme), sulla necessità di «uno specifico obbligo motivazionale» dell’atto d’autorizzazione all’accesso, e infine sulla necessità di «un sistema di controllo giudiziario ex post», le successive modifiche normative nel DdL appaiono del tutto avulse rispetto alla necessità di proteggere il contribuente nelle verifiche fiscali condotte presso i locali sede dell’attività economica. Quasi che l’autore del DdL non avesse ancora letto la sentenza Italgomme e avesse piuttosto preso atto del fatto che anche gli altri controlli effettuati secondo l’ordinamento tributario italiano sono irrispettosi della tutela che la CEDU offre al domicilio e alla corrispondenza ai sensi dell’art. 8.
Le modifiche normative proposte riguardano infatti l’art. 52 del Dpr n. 633/1972, relativamente:
a) alla motivazione per l’accesso nell’abitazione a uso promiscuo;
b) alla motivazione per l’accesso nell’abitazione adibita esclusivamente a privata dimora (e qui la modifica è inutile, poiché la norma già dispone l’indicazione di gravi indizi di violazione di norme tributarie);
c) la motivazione per le perquisizioni personali e l’apertura di oggetti (siti e strumenti) protetti da dispostivi di sicurezza, ovvero per l’ostensione di documenti sui quali sia opposto il segreto professionale.
In sintesi: tutte fattispecie al di fuori dell’oggetto della Causa Italgomme.
Dopo di che è proposta l’introduzione di un nuovo art. 52-bis, che in effetti soddisfa l’esigenza di un controllo effettivo ex post, ma che riguarda esclusivamente le fattispecie che sono state toccate dalle modifiche precedenti, anche in questo caso quindi lasciando del tutto scoperte le necessità di controllo ex post emergenti dalla Causa Italgomme. Infine, è proposta l’introduzione di un secondo comma all’art. 35 della Legge 4/1929, che, alla luce dell’esame condotto dai giudici di Strasburgo nella sentenza Italgomme, appare superfluo. La ratio della pronuncia della Corte EDU conduce infatti alla necessità di abrogare in toto il citato art. 35, dal momento che autorizza i militari della GdF a effettuare accessi presso i locali commerciali anche a prescindere da un’autorizzazione scritta, e dunque, a maggior ragione, a prescindere da una motivazione che giustifichi l’accesso.
D’altro canto, mal si concilierebbe un differente regime autorizzatorio a seconda del soggetto chiamato a svolgere le verifiche fiscali, dovendosi piuttosto ricondurre nell’alveo del citato art. 52 (norma pivot per l’intero ordinamento tributario, in virtù dei richiami nelle discipline delle imposte diverse dall’Iva), l’intera fattispecie dei controlli eseguibili presso il domicilio del contribuente.
Dobbiamo dunque concludere che, al di là dei buoni proponimenti, il Legislatore non ha colto nel segno, fermo restando che sono apprezzabili gli interventi prospettati, rafforzativi dei controlli ex ante ed ex post sulle fattispecie che già erano destinatarie delle maggiori garanzie (comunque insufficienti) da parte dell’art. 52.
È invece imposta la chiosa su ciò che il Legislatore è chiamato a confezionare, per dare corso agli adempimenti cogenti che scaturiscono dalla Causa Italgomme, dunque su accessi e ispezioni presso i locali a uso commerciale.
Mentre la Corte EDU non ha richiesto di modificare i controlli ex ante, potendo dunque perpetuarsi l’attuale regime autorizzatorio in capo all’AdE e alla GdF (senza necessità dell’intervento di un giudice o di un PM nella fase del rilascio dell’autorizzazione), profonde modifiche si impongono riguardo a:
1) la motivazione dell’atto d’autorizzazione, con l’introduzione dei gravi indizi di violazione di norme tributarie (parificando così le condizioni per accessi nell’abitazione e nei locali commerciali) e del nesso logico tra detti gravi indizi e l’esigenza di accedere nel domicilio per apprendere elementi di prova;
2) l’impugnabilità immediata dell’atto d’autorizzazione avanti a un organo giurisdizionale, che abbia cognizione della legittimità dell’accesso in fatto e in diritto.
L’assenza di gravi indizi di violazione di norme tributarie può essere accettata solo nell’ipotesi in cui i verificatori si limitino a esaminare scritture, documenti e registri la cui tenuta è obbligatoria per legge (ma per i quali è una ragionevole alternativa l’esame in sedi diverse dal domicilio del contribuente). In tutte le altre ipotesi, il requisito della prevedibilità, di cui alla riserva sostanziale di legge, comprensiva della riserva giurisdizionale (i soli parametri esaminati dalla Corte EDU nella Causa Italgomme, al fine di verificare la legittima compressione del diritto alla protezione del domicilio), impone l’esclusione, dal novero delle ipotesi di accesso, di tutte quelle fattispecie che possono dare adito a sospetti di arbitrio, se non proprio di utilizzo abusivo della normativa sugli accessi. Parametri legati alla bassa redditività o all’operatività in particolari settori economici, o alla fruizione di crediti d’imposta, non porrebbero l’Amministrazione Finanziaria al riparo da sospetti sulla scelta concreta dei contribuenti su cui svolgere le verifiche fiscali, come parimenti l’emersione di semplici sospetti o illazioni circa la regolarità dei comportamenti tributari.