La cassazione prende atto della sentenza Italgomme sulla tutela del domicilio anche delle persone giuridiche
di Alberto Calzolari
Con l’ordinanza interlocutoria n. 11910 del 6 maggio, la Corte di cassazione ha chiesto alle parti processuali di proporre osservazioni circa l’impatto di Corte EDU 6.2.2025, Causa Italgomme Srl et alii v. Italia, sul giudizio in esame, ai sensi dell’articolo 384 c. 3 C.p.c. Su tale sentenza si è più volte soffermato BLAST (cfr. da ultimo A. Calzolari “Ancora sull’impatto della sentenza Italgomme v. Italia per l’ordinamento tributario”), e ora iniziano a vedersi i primi frutti nell’agire delle istituzioni italiane. In disparte l’infelice approccio adottato dal Legislatore (il Disegno di Legge di inizio marzo, anch’esso ampiamente commentato su BLAST, ha completamente trascurato la necessità di proteggere il domicilio commerciale del contribuente), la Cassazione ha colto nel segno, ritenendo d’inserire d’ufficio il motivo d’attrito con l’articolo 8 della CEDU (che protegge la vita privata e familiare di tutte le persone, anche quelle giuridiche) da parte delle norme italiane che disciplinano gli accessi dell’Amministrazione finanziaria presso la sede delle attività economiche dei soggetti da sottoporre a controllo.
Invero, i difensori del contribuente, con una serie di puntuti motivi di ricorso, avevano già messo in risalto, tra l’altro, le citate frizioni tra le garanzie convenzionali e il dettato dell’articolo 35 della L 4/1929 e degli articoli 51 e 52 del Dpr 633/1972, ma, stando al contenuto dell’ordinanza in commento, avevano stigmatizzato essenzialmente il fatto che l’autorizzazione all’accesso presso la sede del contribuente non fosse stata prodotta da un organo giurisdizionale, risultando in effetti emessa dal Comando della Guardia di Finanza, dunque dalla medesima autorità che aveva condotto l’accesso e le conseguenti ispezioni. Si rammenta che l’atto d’accertamento impugnato si fondava infatti sui rilievi del Pvc prodotto dalla Guardia di Finanza all’esito delle ispezioni presso la sede di una società (Srl) attiva nella produzione e commercializzazione di calcestruzzo, da cui emergevano asserite irregolarità, in specie afferenti alla deduzione dei costi relativi alla gestione degli automezzi aziendali e alla detrazione dell’Iva.
Rilevando il contrasto con la prevalente giurisprudenza della Corte EDU sulla tutela del domicilio (ex articolo 8 della Convenzione) e con la giurisprudenza della CGUE sulla medesima materia (ex articoli 7 e 8 della CDFUE, la cosiddetta Carta di Nizza), la società ricorrente aveva contestato:
a) l’illegittimità costituzionale delle norme interne a causa del contrasto con l’articolo 14 Cost. come integrato dall’articolo 8 CEDU, chiedendo l’applicazione, per quanto concerne i rilievi sulle imposte dirette, dell’articolo 7-ter dello Statuto del contribuente (L 212/2000), con conseguente nullità dell’accertamento per difetto assoluto di potere (la Guardia di Finanza non può, in tesi, autorizzare da sé l’accesso nel domicilio) e, in subordine, dell’articolo 7-quinquies dello Statuto, con la conseguente inutilizzabilità degli elementi acquisiti nel Pvc;
b) l’illegittimità eurounionale delle norme interne specie con riferimento all’articolo 7 della CDFUE, per quanto concerne i rilievi sull’Iva (imposta armonizzata dal diritto UE), con la conseguente necessità di disapplicazione diretta, da parte del giudice, delle norme medesime e quindi l’inutilizzabilità degli elementi di prova raccolti con l’accesso illegittimo, o, in subordine, con la inderogabile necessità da parte del giudice italiano di ultima istanza (la Cassazione) di sollevare la questione di compatibilità con l’ordinamento UE delle suddette norme nazionali (cosiddetta pregiudiziale europea ex articolo 267 del TFUE).
Poiché, come già evidenziato, la difesa ha insistito sul profilo di illegittimità dell’autorizzazione all’accesso domiciliare, in tesi invalida perché non proveniente da un organo giurisdizionale, la Corte di cassazione ha correttamente preso atto che:
I) successivamente all’udienza di discussione è intervenuta la citata sentenza Italgomme, che ha evidenziato l’assoluta inadeguatezza dell’assetto normativo italiano in materia di tutela del domicilio del contribuente, in particolare di salvaguardia della sede dell’attività lavorativa al cospetto delle necessità di indagine delle autorità tributarie;
II) la medesima sentenza Italgomme ha tuttavia ritenuto legittima, in ragione delle peculiari esigenze di efficacia dell’attività d’indagine fiscale, la scelta del legislatore italiano di non richiedere l’intervento di un giudice per l’emissione dell’autorizzazione all’accesso nel domicilio del contribuente.
Risulta pertanto ragionevole la scelta della Cassazione di avvalersi dell’articolo 384 C.p.c., poiché le questioni nuove rilevate d’ufficio dal giudice (se dirimenti) impongono la sollecitazione del contraddittorio delle parti processuali (oltre che del pubblico ministero), in questo caso assegnando il termine di 60 giorni per proporre osservazioni (il termine massimo di cui al terzo comma del citato articolo 384). Dunque, il giudice di legittimità ha ponderato la rilevanza della Causa Italgomme sul procedimento in esame, specie rimarcando ch’essa ha statuito l’inadeguatezza della normativa italiana a causa dell’assenza di limiti all’ampiezza dell’attività ispettiva e dell’assenza di un controllo giurisdizionale, sia ex ante sia durante sia ex post, sulla legittimità dell’autorizzazione all’accesso nel domicilio e alla conseguente attività ispettiva. Si tratta del tristemente noto fenomeno della fishing expedition, che lascia esposto il contribuente italiano a un potere discrezionale eccessivo, e perciò arbitrario, da parte delle autorità di controllo fiscali. Fenomeno cui il legislatore italiano non ha ancora saputo porre un freno e che ha condotto i giudici di Strasburgo a dedurre la violazione dell’articolo 8 della CEDU, proprio per l’assenza del requisito della riserva sostanziale di legge (in questo caso nell’accezione di riserva giurisdizionale), che è viceversa inderogabile al fine di legittimare la compressione del diritto alla protezione del domicilio.
Chi scrive ritiene che, una volta valutate le osservazioni che saranno prodotte dalle parti processuali, la Cassazione solleverà la questione di legittimità costituzionale, in particolare, dell’articolo 35 della L 4/1929 e dell’articolo 52 del Dpr 633/1972. Ciò consentirà alla Corte costituzionale di provvedere erga omnes, al cospetto dell’anacronistica disciplina degli accessi domiciliari, tenuto altresì conto della richiesta della Corte EDU di risolvere l’illegittimità convenzionale non solo a favore dei ricorrenti della Causa Italgomme, ma anche a livello ordinamentale, a tutela di tutti i soggetti esposti al controllo dell’Amministrazione finanziaria italiana. Da anni la giurisprudenza costituzionale rivendica un dovere di sindacato accentrato di legittimità, che le consenta di espungere dall’ordinamento, in via generalizzata e definitiva, quelle norme che espongono lo Stato a contestazioni di illecito internazionale, oltre a perpetuare situazioni di discriminazione inaccettabili. Tali sarebbero infatti le soluzioni che conducono all’immediato sollievo in termini di annullamento dei provvedimenti afferenti alle imposte armonizzate, lasciando tuttavia privi di tutela i soggetti attinti da accertamenti estranei alle materie eurounitarie o comunque ancora assoggettabili a un’attività di verifica illecita, per qualsiasi imposta, negli anni a venire. Come già evidenziato, infatti, i segnali provenienti dal Parlamento non sono incoraggianti. Certo, occorre fare i conti con i limitati poteri di emendamento di cui dispone la Consulta, ma come primo step di adeguamento alla giurisprudenza della Corte EDU sarebbe significativo, con una sentenza manipolativa, un intervento chirurgico sull’articolo 52, volto a elidere le differenze rispetto alla tutela assicurata all’abitazione del contribuente. Un’autorizzazione motivata in ordine ai gravi indizi di violazione delle norme tributarie, emessa da un PM, sarebbe già un riconoscimento importante, come condanna della fishing expedition. Anche se, alla luce del chiaro enunciato della sentenza Italgomme, rimane ineludibile l’introduzione del controllo giurisdizionale, almeno nel corso o al termine della verifica. Su questo aspetto sarà richiesto l’intervento del Parlamento, che configuri l’impugnabilità dell’atto autorizzativo, definendone tempi e modalità. Ciò che rileva veramente è che finalmente anche le istituzioni italiane decidano di ripristinare la dovuta tutela del diritto fondamentale della protezione della vita privata, in particolare bandendo dall’ordinamento l’orribile prassi della ricerca indiscriminata di prove: in assenza di gravi indizi, non si può comprimere la privacy dei cittadini al solo fine di raccogliere le prove necessarie a motivare un atto di accertamento.