La tecnologia Blockchain rappresenta un'innovazione digitale basata sui princìpi di decentralizzazione, immutabilità, trasparenza e sicurezza. Grazie a tali caratteristiche, le transazioni registrate su una Blockchain sono verificabili e non possono essere modificate senza il consenso della rete distribuita di nodi che la costituisce. Tali caratteristiche generano un elevato livello di fiducia e integrità, ridefinendo le regole di governance e gestione dei processi e consentendo l'eliminazione degli intermediari. Infatti, in un ambiente Blockchain, è la tecnologia che funge sia da infrastruttura che da quadro normativo, rendendo possibile un nuovo paradigma operativo.
Tra le applicazioni più innovative di questo ecosistema digitale vi sono le DAO (Decentralized Autonomous Organizations - si veda anche l’articolo di Gabriele Righetti su Blast della scorsa settimana) -, che operano attraverso la Blockchain utilizzando smart contract. Questi ultimi sono programmi informatici che automatizzano l'esecuzione di specifiche azioni basandosi su regole predefinite nei software. Nelle DAO, gli smart contract eliminano la tradizionale distinzione tra proprietà e management: le decisioni deliberate dai possessori dei token sono eseguite automaticamente attraverso gli smart contract, garantendo una gestione decentralizzata.
Al di là dell’interpretazione letterale, uno smart contract non ha valore di contratto legale, ma ne rappresenta una trasposizione digitale. Pertanto, mentre lo smart contract può automatizzare l'esecuzione di termini contrattuali, sono questi ultimi a dover essere conformi alle disposizioni giuridiche vigenti.
Questo approccio evidenzia come la Blockchain offra un promettente paradigma di governance, capace di risolvere numerosi problemi organizzativi, migliorando trasparenza e sicurezza. Tuttavia, l'adozione delle DAO presenta sfide significative sotto il profilo giuridico. Infatti, per poter operare nel mondo analogico – ad esempio, per possedere beni o assumere personale – le DAO necessitano di una specifica personalità giuridica. In assenza di un veicolo societario ad hoc, si segnala che negli USA le DAO sono state assimilate a "associazioni non riconosciute" (caso Ooki DAO, District Court Northern District of California del 2023), e i loro membri sono stati ritenuti responsabili illimitatamente per le obbligazioni dell'organizzazione.
Nell'Unione Europea, il regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets Regulation) mira a uniformare le normative sui cripto-asset, regolando sia l'offerta pubblica di token sia i servizi correlati. MiCA esclude la possibilità che tali servizi vengano forniti in modo completamente decentralizzato, senza intermediari. Inoltre, richiede che i fornitori di servizi per cripto-attività (CASP, Crypto-Asset Service Providers) abbiano una sede legale all'interno di uno Stato membro dell'UE. Quest'ultimo requisito regolamentare introduce nell’UE "per tabulas" il "tax nexus" delle DAO. Infatti, qualora una DAO desideri qualificarsi come CASP nell'UE, sarà obbligata a dotarsi di una struttura giuridica (wrapped DAO) con sede legale in uno Stato membro, divenendo fiscalmente residente in tale giurisdizione. D’altra parte, mentre l’acquisizione della capacità giuridica garantisce maggiore trasparenza e minore responsabilità ai membri delle DAO, ciò compromette la loro decentralizzazione.
Un'altra criticità legata alle DAO riguarda l'anonimato dei possessori di token, che potrebbe facilitare l'evasione fiscale. Le DAO, infatti, non rientrano attualmente nelle iniziative internazionali come il BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), il CRS (Common Reporting Standard) dell'OCSE o il FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act) statunitense.
Per affrontare queste problematiche, l'OCSE ha sviluppato il Crypto-Asset Reporting Framework (CARF), un quadro normativo volto a standardizzare lo scambio automatico di informazioni sui cripto-asset tra le giurisdizioni. La Commissione Europea ha recepito CARF con l'introduzione della DAC8, approvata nell'ottobre 2023 ed efficace dal 2026. Questa normativa impone ai CASP l'obbligo di segnalare le transazioni dei propri clienti con sede nell'UE, fornendo alle autorità fiscali informazioni essenziali per monitorare e verificare i redditi generati dai cripto-asset e le relative implicazioni fiscali.
Sullo sfondo, per le DAO totalmente decentralizzate, vi è poi la questione fiscale (si veda anche articolo di Gabriele Righetti, citato in precedenza): una soluzione potrebbe anche essere quella di adottare il regime di trasparenza fiscale, come già accade per i fondi d’investimento. In base a tale regime, il reddito potrebbe essere determinato in capo alla DAO e tassato in capo ai possessori dei token. Questi ultimi, in funzione degli obblighi di segnalazione introdotti dalla Direttive Antiriciclaggio (AML) e dalla DAC8, saranno individuabili ai fini fiscali.
A tale riguardo, occorre evidenziare che, mentre le società partecipate da un OICR (Organismo di Investimento Collettivo del Risparmio) assolvono i loro tributi nella giurisdizione di riferimento – e i proventi conseguiti dagli OICR sono già al netto della corporate tax delle imprese partecipate – le transazioni effettuate dalle DAO nel mondo digitale non scontano alcuna imposizione fiscale. Riconoscere al detentore di un security token di una DAO la stessa aliquota fiscale del 26 per cento riconosciuta all’investitore di un OICR conferisce al primo un vantaggio fiscale rappresentato dalla sostanziale non imponibilità degli investimenti sottostanti la DAO. Pertanto, più equa appare la tassazione per trasparenza in capo ai possessori dei security token delle DAO, in base alla loro aliquota marginale d’imposizione individuale, come già accade per i possessori di fondi d’investimento non armonizzati. Ciò risolverebbe anche il problema dell’aliquota di tassazione dei detentori di cripto-attività, che ha caratterizzato il dibattito politico italiano nelle ultime settimane.