Saldo di cassa negativo, nessuna responsabilità del commercialista
di Andrea Gaeta e Lorenzo Romano
Con l’ordinanza n. 9721/2025 la terza sezione della Corte di Cassazione ha affermato che il consulente non può essere ritenuto responsabile in via risarcitoria se manca la prova del nesso causale tra la sua presunta negligenza e l'evento dannoso.
Nel caso specifico i ricorrenti avevano lamentato la responsabilità del proprio commercialista per il presunto danno derivante da un accertamento fiscale basato (in buona parte) su costanti saldi negativi del "conto cassa", che aveva portato l’Agenzia delle Entrate a contestare l’esistenza di ricavi “in nero”. Va infatti rammentato che, secondo l’indirizzo nettamente maggioritario della Cassazione (cfr. Cass. n. 25627/2024; vds. anche la Circolare della Guardia di Finanza n. 1/2018, Vol. III, V, 1, § 3.c), la sussistenza di un saldo negativo di cassa, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura pari almeno al disavanzo.
Secondo i contribuenti, il commercialista, incorrendo in colpa grave, non li aveva avvertiti dei rischi legati ai saldi negativi e avrebbe redatto scritture contabili non corrispondenti alla realtà aziendale. Inoltre, l’errata compilazione dello studio di settore, sempre da parte dello stesso professionista, avrebbe “innescato” un controllo che – secondo i contribuenti – altrimenti non vi sarebbe stato.
Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d'Appello avevano precedentemente respinto la domanda per mancanza di prova del danno e del nesso causale, ossia perché non è stato provato che l’attività di controllo svolta dall’Amministrazione finanziaria nonché gli accertamenti e le sanzioni fossero conseguenza delle asserite negligenze del professionista.
La Suprema Corte, nel confermare le decisioni di merito, ha evidenziato che “in caso di responsabilità contrattuale il regime di distribuzione dell'onere probatorio di cui all'articolo 1218 c.c. fa gravare sull'attore la prova del nesso causale fra la condotta dell'obbligato inadempiente e il pregiudizio di cui si chiede il risarcimento e sulla parte che si assume inadempiente (o non esattamente adempiente) l'onere di fornire la prova positiva dell'avvenuto adempimento”.
In sostanza, è necessario che il (presunto) danneggiato dimostri il nesso causale tra negligenza e danno, come richiesto dall’ampia e consolidata giurisprudenza di vertice maturata nell’ambito dell’attività sanitaria e della responsabilità per fatto illecito. Al (presunto) danneggiante spetta, invece, provare (ma solo dopo la dimostrazione del nesso causale da parte dell’attore) che l’esatta esecuzione della prestazione è divenuta impossibile per una causa imprevedibile e inevitabile; la Cassazione si esprime, a tal proposito, in termini di “doppio ciclo causale”.
Nel ribadire che l’onere della prova del nesso causale tra inadempimento e danno (cosa ben diversa dall’imputazione del danno, che attiene alla colpa e alla prevedibilità soggettiva) grava sul contribuente, la Cassazione ha anche richiamato l'articolo 1227, comma 1, c.c., evidenziando che il concorso colposo del cliente o la condotta di terzi possono escludere o attenuare la responsabilità del commercialista.
L’ordinanza, infine, conferma che la responsabilità del commercialista deve essere dimostrata con prove puntuali, ma che solo il giudice di merito è competente per la valutazione della prova.
La pronuncia della Corte costituisce l’occasione per ricordare che la prestazione del commercialista è un’obbligazione di mezzi e non di risultato, e che al professionista sono imposti doveri di informazione nell’ambito della consulenza fornita, nell’ambito della diligenza legata alle proprie competenze tecniche imposta dall’articolo 1176 comma 2 c.c. Il professionista, quindi, deve operare, oltre che con competenza, con prudenza, rilevando in ogni caso le condotte anomale del cliente.
Il professionista, così, risponde di regola per negligenza, imprudenza e colpa lieve, atteso il maggior grado professionale che si presume in capo allo stesso. Se però la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave (articolo 2236 c.c.).
Non possiamo non evidenziare che il tema della responsabilità civile del commercialista va di pari passo con il tema della responsabilità amministrativa (e penale), nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria dimostri il concorso del professionista alla commissione di violazioni fiscali del cliente; sul tema, rimandiamo al nostro “La Cassazione amplia la responsabilità del professionista”.
Non va infine dimenticato che proprio il conto cassa può facilmente avere implicazioni anche in materia di antiriciclaggio, con obblighi di segnalazione per il commercialista in caso di operazioni sospette (Dlgs n. 231/2007). La mancata segnalazione può esporre il professionista a responsabilità penali, soprattutto in presenza di dolo eventuale o favoreggiamento consapevole.