La Cassazione amplia la responsabilità del professionista
di Andrea Gaeta e Lorenzo Romano
La Corte di Cassazione, con le sentenze nn. 7948 e 7951 del 25 marzo 2025, ha stabilito che il concorso di soggetti terzi, nelle violazioni tributarie commesse da società con personalità giuridica, è sanzionabile ai sensi dell’articolo 9 del Dlgs n. 472/1997, anche dopo (e nonostante) l’entrata in vigore dell’articolo 7 del Dl n. 269/2003.
La disposizione secondo cui «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica» (così l’articolo 7 cit.), per la Cassazione, non preclude l’applicazione del concorso di persone nei confronti di soggetti estranei all’ente che abbiano fornito un contributo causale, di natura materiale o psicologica, alla realizzazione dell’illecito.
La controversia trattata dalla Corte riguarda un commercialista accusato dall’Agenzia delle Entrate, in due diverse vicende, di avere concorso alla commissione di violazioni fiscali e contributive relative all’intermediazione illecita di manodopera e alla creazione di crediti fittizi (poi utilizzati in compensazione), sorti dall’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
I Giudici di merito avevano annullato gli atti di contestazione emessi nei confronti del commercialista, ritenendo insufficienti le prove a suo carico, e in particolare le dichiarazioni dell’amministratore di fatto e dei consulenti, considerate interessate le prime e prive di riscontri le seconde.
Entrando (attraverso il richiamo alle norme in tema di presunzione, e senza peraltro alcun esplicito riferimento all’articolo 2729 c.c.) a gamba tesa nel merito, nonostante (in uno dei due casi) vi fosse anche una cd. doppia conforme, la Cassazione ha ritenuto che il Giudice di appello avesse errato nel valutare gli indizi forniti dall’Amministrazione.
Prima di esaminare (e accogliere) il motivo di ricorso dell’Agenzia relativo al profilo probatorio, però, la Cassazione fa un’ampia disgressione sui rapporti tra l’articolo 7 del Dl n. 269/2003 e le norme del Dlgs n. 472/1997, facendo espresso richiamo alle categorie penalistiche di concorso materiale e morale, oltreché alla causalità psichica dell’evento.
Giunti a questo punto, è opportuno fare un passo indietro.
Sino al 2024, la giurisprudenza nettamente prevalente (es. Cass. nn. 9448/2020, 25284/2017) interpretava l’articolo 7 del Dl n. 269/2003 in senso restrittivo, escludendo la responsabilità concorsuale dei terzi per le violazioni tributarie commesse dalle società con personalità giuridica. Si riteneva che la norma del 2003 avesse specificamente derogato all’istituto del concorso e che pertanto la sanzione dovesse gravare solo sull’ente, titolare del rapporto fiscale, assorbendo ogni responsabilità delle persone fisiche, sia interne (ivi incluso l’amministratore di fatto) che esterne. L’unica eccezione era costituita dall’eventualità che la società fosse una mera fictio, asservita agli interessi di una persona fisica che l’aveva “interposta” tra sé e l’Erario. Tale impostazione è stata ripresa (come conferma la Relazione al Dlgs n. 87/2024) dal nuovo comma 2-bis dell’articolo 2 del Dlgs n. 472/1997, con l’ulteriore specificazione, questa sì innovativa, che la riferibilità della sanzione all’ente collettivo concerne anche le società di persone.
Nel 2024, la Cassazione ha mutato il proprio indirizzo, dapprima (Cass. n. 20697/2024) affermando che anche un “terzo” può concorrere nella violazione della società, e poi (Cass. n. 23229/2024) precisando che, affinché trovi applicazione l’istituto generale del concorso di cui all’articolo 9 del Dlgs n. 472/97, l’estraneo, tipicamente il professionista/consulente (nel primo caso si trattava di un notaio, nel secondo di un centro di elaborazione dati nella persona del suo legale rappresentante), deve perseguire un autonomo beneficio, che vada “ben oltre il corrispettivo della propria prestazione, traducendosi in altri termini non già in una mera prestazione al servizio di un committente, ma in una diretta e comune finalità di concorso nell'attuazione di condotte soggettivamente intese a ottenere vantaggi economici non spettanti, mediante il compimento di illeciti fiscali”.
Con le sentenze nn. 33994/2024 e 33996/2024 (passate sotto silenzio), e con le altre due indicate in esordio, tutte e quattro riferite al medesimo commercialista, la Cassazione supera anche quest’ultimo orientamento, affermando che il “compenso aggiuntivo” può rilevare, tutt’al più, come indizio del concorso (e, aggiungiamo, come criterio di commisurazione della sanzione, anche ai fini della disapplicazione del limite di responsabilità di cui all’articolo 5, comma 2, del Dlgs n. 472/1997). Affinché il professionista risponda della sanzione è sufficiente che sussista un suo «contributo materiale e psicologico» alla realizzazione dell’illecito, come avviene ai fini del concorso di matrice penalistica (articolo 110 c.p.).
Al di là delle critiche sul nuovo (e forse definitivo) orientamento della Corte in merito alla latitudine dell’articolo 7 del Dlgs n. 269/2003, sia per ragioni di merito (per le quali si può rinviare, ad esempio, al recente del prof. Mauro su Rassegna tributaria n. 1/2025) che di metodo (due overruling in sei mesi, a 21 anni dall’introduzione della norma), ciò che non può non destare preoccupazione è l’allargamento, potenzialmente a dismisura e con confini non definibili a priori, della responsabilità dei professionisti.
L’unica protezione, a fronte dell’indeterminatezza delle clausole generali, è rappresentata dalla limitazione della responsabilità ai casi di dolo e colpa grave, che peraltro vale solo per quell’attività di consulenza tributaria che comporta la soluzione di «problemi di speciale difficoltà» (locuzione che di per sé si presta a interpretazioni restrittive, come l’“obiettiva incertezza normativa”), di cui all’articolo 5, comma 1, del Dlgs n. 472/1997.
Il rischio, oggi più che mai concreto, è che il commercialista venga sanzionato, ad esempio, per aver contabilizzato (e poi concorso materialmente all’utilizzo, con l’invio della dichiarazione) fatture per operazioni apparentemente “normali”, ma a posteriori giudicate inesistenti a seguito della scoperta di evasioni d’imposta commesse dal fornitore/prestatore, o, ancora, per aver certificato e/o inserito in dichiarazione un credito R&S non conforme al Manuale di Frascati.
Superato – e ciò, sotto il profilo teorico, è condivisibile – il filtro selettivo del compenso aggiuntivo, è quantomai necessario individuarne un altro, per arginare l’espansione potenzialmente senza limiti della responsabilità. Con una norma di interpretazione autentica, ad esempio, il legislatore potrebbe stabilire che il professionista può essere destinatario di sanzione amministrativa se si verifica la situazione prevista dall’articolo 13-bis, comma 3, del Dlgs n. 74/2000, cioè se ha un ruolo attivo nell’elaborazione e nella commercializzazione di modelli di evasione fiscale (come, peraltro, sembra essere avvenuto nel caso di specie, ove il commercialista ha messo in campo anche operazioni straordinarie).
Occorre anche considerare che, se davvero si intende far richiamo al modello penalistico, si deve tener presente che la più recente giurisprudenza della Cassazione penale (in linea con una parte della dottrina: ad esempio, Antolisei) rifiuta la configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso (si veda da ultimo Sez. VI penale, n. 22280/2024); cosicché il commercialista che svolge operazioni routinarie, e agisce con imperizia/negligenza/imprudenza, non può concorrere nella sanzione con la società la cui evasione abbia involontariamente agevolato.
Ogni problema si risolverebbe se si ritornasse a un’interpretazione letterale dell’articolo 7 del DL 269/2003, che in maniera inequivocabile ha inteso derogare all’istituto del concorso e imputare la sanzione per “colpa organizzativa”, a titolo di responsabilità oggettiva, alle sole società. Tuttavia, visto l’atteggiamento dichiaratamente giustizialista che ha ispirato l’ormai ben nota sentenza n. 3800/2025, sull’articolo 21-bis del Dlgs n. 74/2000 (salvo l’eventuale ripensamento delle Sezioni Unite) e sulle conseguenze dell’assoluzione penale nel processo tributario, non resta altro che correre ai ripari e cercare di limitare i danni.