Membri del comitato direttivo di ASD: la Cassazione esclude ogni automatismo nella responsabilità
di Andrea Gaeta
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26544 del 2 ottobre 2025, ha affrontato il tema della responsabilità fiscale dei componenti del consiglio direttivo di un’associazione sportiva dilettantistica (ASD), ribadendo che la chiamata in solido di tali soggetti ai sensi dell’articolo 38 del codice civile non può avvenire in via automatica. La Suprema Corte ha così accolto il ricorso dei consiglieri di un’ASD marchigiana, censurando la decisione di merito che aveva dichiarato tardiva l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, e precisando che la relativa questione è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado.
La vicenda prende le mosse da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2011, con cui venivano disconosciute le agevolazioni fiscali ex articolo 148 TUIR e legge n. 398/1991, sul presupposto che l’associazione non rispettasse i requisiti di democraticità interna e che vi fosse stata una distribuzione indiretta di utili. L’Ufficio aveva così riqualificato i proventi come redditi di natura commerciale, recuperando Ires, Irap e Iva e irrogando le relative sanzioni. Contestualmente, l’Amministrazione aveva esteso la pretesa anche ai componenti del consiglio direttivo, invocando l’articolo 38 c.c. La Commissione tributaria regionale delle Marche aveva confermato la legittimità dell’accertamento, ritenendo inammissibili per tardività le eccezioni relative al difetto di legittimazione dei consiglieri, sollevata solo nella memoria illustrativa di primo grado, e all’irregolarità della sottoscrizione dell’atto impositivo, sollevata solo in appello.
Il problema giuridico centrale riguarda l’applicazione dell’articolo 38 c.c. alle obbligazioni tributarie. Come noto, le ASD, in quanto associazioni non riconosciute, sono caratterizzate da autonomia patrimoniale imperfetta: per i debiti dell’ente risponde il fondo comune, ma in aggiunta sono personalmente e solidalmente obbligati coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. La giurisprudenza ha chiarito che, mentre per le obbligazioni di fonte negoziale la responsabilità si ricollega a chi ha assunto impegni verso terzi, nel campo tributario il debito d’imposta sorge ex lege e non da un contratto.
Negli anni si sono delineati due orientamenti. Un primo filone, più rigoroso, ha affermato che la responsabilità personale grava automaticamente sul legale rappresentante, quale titolare degli adempimenti fiscali e sottoscrittore delle dichiarazioni (Cass. 19984/2019; Cass. 38263/2021). Altri arresti, più recenti, hanno valorizzato l’effettività della gestione, ritenendo che anche in materia tributaria la responsabilità personale possa essere limitata alle obbligazioni sorte nel periodo di concreta ingerenza nella vita dell’ente (Cass. 16754/2024; Cass. 19828/2025). La dottrina ha sottolineato che, pur trattandosi di obbligazioni ex lege, l’imposizione fiscale nasce comunque da attività economiche sottostanti, spesso di natura contrattuale, come nel caso delle sponsorizzazioni sportive.
La sentenza in commento si inserisce in tale dibattito e segna un importante chiarimento. La Corte ha precisato che i “semplici” consiglieri, a differenza del rappresentante e del sottoscrittore della dichiarazione fiscale, non possono essere chiamati a rispondere in solido con l’ente, per la sola carica rivestita. È necessario che l’Ufficio dimostri lo svolgimento di un’attività concreta in nome e per conto dell’associazione, idonea a creare rapporti giuridici con i terzi. Per questo motivo, può essere ritenuto responsabile in solido anche un amministratore di fatto, che abbia trattato direttamente con i terzi concludendo contratti di sponsorizzazione (Cass. n. 20104/2025). Tutto ciò comporta un preciso onere probatorio a carico dell’Amministrazione, che non può limitarsi a indicare il nominativo nel consiglio direttivo o la mera approvazione del bilancio, atti che appartengono alla fisiologia della vita associativa.
Il principio si colloca in linea con altre decisioni recenti, come Cass. 10490/2024, che hanno circoscritto la portata dell’articolo 38 c.c., ribadendo che la responsabilità fiscale deve essere ricondotta alla titolarità effettiva del potere di rappresentanza e alla gestione operativa. Anche la giurisprudenza di merito ha più volte distinto tra chi ha assunto un ruolo negoziale effettivo (come la sottoscrizione di contratti) e chi si è limitato a funzioni meramente formali o esecutive (CGT II Lazio, n. 3845/14/2024).
Dalla lettura della decisione emerge un interessante profilo di ordine processuale. La Cassazione ha infatti riconosciuto, cassando la sentenza di appello anche in parte qua, che il difetto di legittimazione passiva non costituisce un’eccezione in senso stretto, ma attiene alla titolarità del rapporto controverso e, come tale, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Nello stesso senso, seppure in una vicenda diversa (impugnazione dell’accertamento societario da parte di un soggetto individuato dall’Ufficio come “rappresentante fiscale”), la Corte si era espressa con tre sentenze di maggio, oggetto di commento su Blast.
La pronuncia n. 26544/2025 si segnala dunque per aver riportato ordine in un ambito da tempo caratterizzato da oscillazioni interpretative, bilanciando la tutela dell’erario con quella dei soggetti che, pur rivestendo una carica associativa, non hanno concretamente inciso nella gestione fiscale dell’ente.