Se l’atto è intestato alla società solo questa può impugnarlo
di Andrea Gaeta e Lorenzo Romano
Con tre pronunce sostanzialmente identiche (le nn. 12864, 12865 e 12867 del 14 maggio 2025), la Cassazione prende posizione in modo netto, negandola, in merito alla legittimazione ad agire del soggetto che riceve (e impugna) un atto intestato a un soggetto giuridico diverso.
Dalla lettura delle tre sentenze, identiche quanto alla motivazione, si apprende che l’Agenzia delle Entrate aveva emesso tre avvisi di accertamento nei confronti di due società estere (una con sede in Liechtenstein e una in Lussemburgo), con riferimento a due diversi periodi d’imposta, in quanto le aveva ritenute esterovestite e, quindi, fiscalmente residenti in Italia. I provvedimenti, intestati alle società, erano stati notificati presso lo studio di un professionista italiano, indicato negli atti come “rappresentante fiscale”.
Il professionista, disconoscendo qualunque potere formale o sostanziale di rappresentanza, aveva impugnato direttamente gli atti (quale “destinatario dell’avviso di accertamento”), negando la qualità di “rappresentante fiscale”.
I giudici tributari di primo grado hanno accolto i ricorsi, escludendo che il ricorrente avesse agito come amministratore di fatto e che le due società fossero esterovestite. Inoltre, hanno rilevato l’inesistenza (evidentemente, insanabile) dell’avviso di accertamento, perché diretto a soggetto privo di poteri di rappresentanza.
Avverso le tre sentenze di appello, che hanno accolto le impugnazioni dell’Agenzia, il presunto rappresentante ha proposto altrettanti ricorsi, articolati su più motivi. Preliminarmente, però, a ciò sollecitata dalle conclusioni del Pubblico Ministero, la Suprema Corte ha ritenuto di dovere affrontare in via preliminare il tema della legittimazione ad agire, non trattata nei giudizi di merito sebbene si trattasse di questione assorbente.
Come premesso, l’elemento che accomuna le tre vicende è che gli atti impositivi erano rivolti esclusivamente alle società estere, ma indirizzati al professionista qualificato come “rappresentante fiscale”.
Questo elemento, da solo, basta alla Cassazione per ravvisare il difetto di legittimazione ed affermare che, se l’atto è rivolto alla società, solo quest’ultima poteva impugnarlo. Non rileva, a tal fine, che la notifica sia avvenuta presso un domicilio italiano, né che chi l’ha ricevuta abbia eventualmente assunto un ruolo operativo all’interno della compagine, né che abbia ritenuto di impugnare l’avviso “in qualità di destinatario”: ciò che conta è che il ricorrente sia, o non sia, parte legittimata in senso formale.
La decisione si pone nel solco di Cass. SS.UU. 16/2/2016, n. 2951, secondo cui la legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare, e la cui carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Cosa diversa dalla titolarità del diritto ad agire è la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio, questione che attiene al merito della causa ed è elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l’attore ha l’onere di allegare e di provare.
Le tre sentenze chiariscono, quindi, che il semplice fatto di aver promosso il ricorso – anche se lo si fa dichiarando di essere “destinatari” dell’atto – non equivale a dimostrare di essere legittimati; oltretutto, rileva la Corte, il ricorrente aveva impostato preliminarmente le sue difese proprio adducendo l’assenza del relativo potere e l’estraneità dell’atto nei suoi confronti.
È stato così fissato il seguente principio di diritto: «la persona fisica alla quale sia stato notificato un atto impositivo, il quale non rechi nessuna pretesa tributaria (neppure in via solidale o sanzionatoria) nei suoi confronti, essendo intestato e diretto esclusivamente nei riguardi di una società, non è legittimata ad impugnarlo in proprio, neanche al fine di negare di possedere la qualità ed il potere rappresentativo in ragione dei quali gli è stata indirizzata la notifica dello stesso atto».
Va tuttavia ricordato che, nel 2009, con la sentenza n. 4622, la Cassazione aveva manifestato un orientamento di segno diametralmente opposto, confermando la possibilità, per un ex legale rappresentante di srl, al quale era stato notificato l’avviso intestato alla società, non solo di impugnare l’avviso per difendere la propria posizione in merito a eventuali profili penali e alla corresponsabilità da sanzioni, ma altresì contestare il “merito”. In quella sentenza si leggono affermazioni tanto “originali” quanto perentorie, come: «il "palo" può difendersi dall'accusa del concorso in furto sia dimostrando di non aver svolto tale ruolo di "sentinella", ma anche dimostrando che il furto non si è verificato», nonché «l'ufficio non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo "tanto non accade nulla". Ogni atto giuridico produce effetti».
Come si vede il cambio di rotta, di cui vi erano già state avvisaglie già nel 2010 (si veda la sentenza n. 1100), è radicale e, seppur “rigido” nel suo approccio, può essere condiviso. Ad analoghe conclusioni era già pervenuta la Corte di cassazione, con la sentenza 23000 del 12 novembre 2010, ove ha statuito che la persona fisica che in passato ha rivestito l’incarico di amministratore e legale rappresentante di una società di capitali è priva della legittimazione a far valere in giudizio un diritto spettante alla società.
Il potere di far valere la nullità di una notificazione eseguita presso un soggetto non legittimato compete alla persona cui è diretta la notificazione, non a quella presso cui è stata erroneamente eseguita.
Giunti a questo punto, occorre fare una riflessione ulteriore: cosa accade se l’accertamento è stato notificato soltanto al preteso rappresentante fiscale, e non anche alla società? Perché va ricordato che l’atto può essere notificato o alla società o al suo legale rappresentante di diritto (articolo 145 C.p.c., commi 1 e 3), mentre non può essere notificato all’amministratore di fatto (Cass. n. 4823/2023, Cass. n. 15742/2014).
Se è vero, come afferma la Corte, che l’azione non poteva essere proposta (si veda l’articolo 382, terzo comma, secondo periodo, C.p.c.), e quindi il processo è stato celebrato inutilmente, cioè è avvenuto proprio a causa dell’invalidità della notifica.
Pertanto, a meno che l’atto non sia stato “ritualmente” notificato anche alla società (ma, allora, non si vede a che pro andare alla ricerca del “rappresentante fiscale”), la vittoria in Cassazione ha il sapore, per l’Amministrazione, della classica “vittoria di Pirro”.