Ci siamo. Con una tempestività cronometrica è arrivato il documento dell’UE, tanto atteso, che chiarisce il quadro della normativa europea in ambito ESG. La Commissione ha emanato una proposta che va a emendare le precedenti Direttive UE 2022/2464 e 2024/1760, ossia:
Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che disciplina gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità;
Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), che stabilisce i requisiti di dovuta diligenza per individuare, prevenire e mitigare impatti negativi su diritti umani e ambiente all’interno della catena del valore.
In un precedente contributo avevo evidenziato il perimetro dell’atteso intervento europeo e alcuni possibili (forse auspicabili?) sviluppi.
Facevo riferimento ad una possibile di semplificazione. Ebbene, questa è arrivata. Ci sono stati anche riposizionamenti, dilazioni e, non possiamo negarlo, diversi passi indietro. Un dietrofront complessivo che non agevola certo la reputazione dell’assetto ESG europeo.
I punti essenziali del nuovo quadro europeo
Per quanto riguarda la CSRD, emerge fin da subito il drastico ridimensionamento delle imprese obbligate, circa l’80 per cento in riduzione rispetto alla platea precedente. Sono escluse nell’immediato le PMI quotate e le grandi imprese con meno di 1.000 dipendenti. Quest’ultima è la nuova soglia di “salvezza”. Per chi supera il parametro dovranno comunque valere i due requisiti alternativi di fatturato superiore ai 50 milioni o attivo patrimoniale maggiore di 25 milioni.
Si rafforza il cosiddetto “value chain cap”, ossia il cuscinetto, a tutela delle imprese non obbligate, dalle richieste ESG provenienti dalla catena del valore. In ogni caso queste non potranno eccedere le informazioni che saranno previste da un atto delegato, basato sulle informative semplificate e volontarie per le PMI (le c.d. informative VSME).
Il sistema dei nuovi standard ESRS prodotti da EFRAG è già sufficientemente complesso: sarà riordinato l’insieme dei datapoint previsti e non verranno prodotti ulteriori standard settoriali. Saranno privilegiate informative quantitative rispetto a quelle narrative e saranno ben distinte quelle volontarie da quelle obbligatorie.
Non è contemplata una fase di passaggio fra asseverazione limitata e asseverazione ragionevole (quest’ultima più rigorosa) della rendicontazione di sostenibilità, a favore di un sistema unico di validazione delle informative ESG.
C’è infine un’importante novità riguardante la disclosure sull’allineamento al Regolamento sulla Tassonomia europea della attività sostenibili. Laddove le imprese non superino i 1.000 dipendenti e la soglia di 450 milioni di ricavi netti, c’è la possibilità di esprimerne il parziale o totale allineamento, in maniera volontaria. Compare anche la parola “transizione”, per esprimere e valorizzare l’impegno di settori produttivi, attualmente esclusi dalla tassonomia, che si stanno adoperando in maniera distintiva per modificare il proprio modello di business in ottica di sostenibilità.
Viene inoltre posticipata di due anni l’applicazione dei requisiti di rendicontazione per le grandi imprese “under 1.000” e per le PMI quotate (che rappresentavano rispettivamente la second e third wave prevista dalla CSRD).
Anche le novità riguardanti la CSDDD sono rilevanti.
Nel contesto delle verifiche di due diligence, viene posta l’attenzione principalmente sui partner diretti delle imprese, coinvolgendo soggetti indiretti solo in presenza di informazioni rilevanti.
Un altro cambiamento sostanziale riguarda la gestione dei rapporti in caso di impatti avversi irrisolvibili: invece di imporre la chiusura definitiva della collaborazione, la nuova proposta prevede la possibilità di sospensione temporanea.
Anche la frequenza di monitoraggio delle misure di due diligence subisce una modifica importante: non sarà più obbligatoria su base annuale, ma verrà effettuato ogni cinque anni, salvo situazioni eccezionali che richiedano controlli più frequenti.
Sul fronte della responsabilità civile, viene eliminata la norma che imponeva un regime uniforme. Tuttavia, restano garantiti i principi fondamentali di accesso alla giustizia e tutela dei diritti.
Infine, la soglia del 5 per cento del fatturato mondiale come tetto massimo per le sanzioni viene abolita. Al suo posto, verranno introdotte linee guida per stabilire criteri più omogenei e chiari.
Una considerazione finale
Ho espresso solo i punti principali del nuovo assetto europeo in ambito ESG. Spero, comunque, di esser riuscito a trasmettere la ratio di un sistema, certamente in evoluzione, che abbiamo imparato a conoscere e a valutare in questi anni.
Al momento vedo poche luci e molte ombre.
Accolgo con favore il pensiero rivolto alle PMI: permane, anzi, viene rafforzata l’attenzione nei loro confronti.
Riguardo alle implicazioni per le aziende di maggiori dimensioni, non possiamo esimerci da alcune perplessità. L’Unione Europea, sostanzialmente, ha ammesso: “abbiamo creato un sistema troppo complesso e incompleto per una concreta applicazione, c’è bisogno di un ripensamento”. In termini di brand reputation, non è stata una buona mossa.
Superato lo smarrimento iniziale, possiamo reinterpretare la norma a vantaggio di quelle aziende che, con ogni probabilità, sarebbero state impreparate all’appuntamento del prossimo anno.
C’è ancora bisogno di orientamento e preparazione, cardini attorno ai quali questo sistema complesso può trovare un equilibrio, a vantaggio di tutti.