Normativa ESG dell’UE e ipotesi di semplificazione: una riflessione, in attesa del pacchetto Omnibus
di Andrea De Colle
Nel panorama articolato della normativa europea in materia ESG, stiamo vivendo una fase di circospezione in attesa di un provvedimento che farà ordine rispetto al quadro esistente. La complessa interazione fra i diversi regolamenti, che riguardano standard di rendicontazione, classificazione delle attività sostenibili e obblighi di monitoraggio della catena di fornitura, sarà risolta in maniera chiara?
Facciamo un passo indietro.
Nel settembre 2024, il Rapporto Draghi dal titolo The future of European competitiveness ha analizzato a fondo le ragioni della stagnazione economica e competitiva dell’Unione Europea. La rigidità e l’incoerenza di alcuni impianti normativi strategici sono state individuate fra le cause da risolvere, in maniera più o meno “radicale”. Anche le regole europee in ambito ESG sono state messe in evidenza e, a tale proposito, è prevista nelle prossime settimane la presentazione da parte della Commissione Europea di un pacchetto “Omnibus”, che le armonizzerà e, forse, alleggerirà. Questo intervento è direttamente collegato al pilastro Semplificazione della Bussola per la competitività dell’UE, iniziativa che orienta i lavori della Commissione a favore di un’economia sostenibile e competitiva.
Norme ESG europee: quali sono al centro del mirino?
Senza la pretesa di entrare nello specifico del contenuto delle singole normative, ricordiamo brevemente quali saranno i temi oggetto dell’”Omnibus”. La Commissione intende rivedere e coordinare il Regolamento sulla tassonomia delle attività economiche sostenibili (Reg. 2020/852/UE), la Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità “CSRD – Corporate Sustainability Reporting Directive” (Dir. 2022/2464/UE) e la Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità “CS3D – Corporate Sustainability Due Diligence Directive” (Dir. 2024/1760/UE).
Si tratta di regole che introducono criteri tecnici per definire le attività economiche allineate agli obiettivi di transizione ecologica, obblighi di rendicontazione di sostenibilità secondo nuovi standard europei e doveri di due diligence su diritti umani e pratiche di lavoro lungo la catena del valore.
Con un approccio graduale negli anni ma ormai in atto, queste normative stanno interessando tutti i grandi gruppi e le grandi imprese, fino alle realtà di minori dimensioni quotate nei mercati regolamentati, ad eccezione delle micro. Le PMI sono toccate indirettamente, trovandosi nelle catene del valore dei precedenti soggetti.
Tra “conservatori e riformisti ESG”: le posizioni in campo
Nelle more dell’uscita della proposta di regolamento, si stanno facendo sentire importanti gruppi di stakeholder, in rappresentanza di posizioni unitarie. Alcuni esprimono la necessità di fare quadrato attorno all’attuale impostazione, per evitare rischi di incertezza e confusione. Temono, inoltre, l’arresto del percorso in atto. Altri mettono in primo piano la componente disruptive della normativa e l’onerosità delle richieste.
Molti grandi trend setter della sostenibilità manifestano la preoccupazione che “si torni indietro troppo in fretta” sugli impegni presi a favore della trasparenza ESG. Un gruppo di 60 aziende (tra cui Patagonia, H&M, IKEA, Nestlé) e 180 associazioni non governative, già a fine 2024, aveva scritto alla presidente Von der Leyen chiedendo fermezza sulla strada del Green Deal.
Sostengono questa posizione anche i principali attori del settore della finanza a impatto, quali ad esempio l’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), il Forum Europeo per gli Investimenti Sostenibili (EUROSIF), e Principles for Responsible Investment (PRI).
Dall’altra parte, si è fatta sentire la voce di molte associazioni di categoria, gruppi di interesse rappresentativi di imprese e operatori del mondo finanziario che ritengono vitale alleggerire il peso delle regolamentazioni ESG, per evitare che si abbatta in maniera sproporzionata sulle imprese. Interessante, solo a titolo esemplificativo, il Position Paper adottato da Assonime, l’associazione italiana delle società per azioni, che esprime svariate perplessità, entrando nel merito dei singoli provvedimenti.
Una riflessione
Non possiamo negare che molte imprese avvertono un sentore burocratico e regolatorio attorno alla normativa ESG europea. In questo senso, un regime transitorio e una chiarificazione complessiva possono aiutare a migliorarne la reputazione. In assenza, il rischio è che molte aziende si trovino ad assolvere agli obblighi ESG come mero esercizio di compliance senza avere il tempo di interiorizzarle e comprenderle.
Non dimentichiamo, inoltre, che alcuni pezzi di normativa sono incompleti e in via di definizione. Nell’ambito dei nuovi standard di rendicontazione europei (ESRS – European Sustainability Reporting Standards), mancano ancora quelli settoriali; inoltre, un bel lavoro di raccordo sugli oltre 1.000 datapoint degli ESRS risulterebbe gradito da più parti. I requisiti della tassonomia sono incompleti e non ancora ben equilibrati.
Un ulteriore pensiero va alle PMI che, come abbiamo visto, sono toccate indirettamente dal sistema. Per molte di loro è ancora necessario un percorso culturale di avvicinamento. E questo richiede tempo.
Nel trade off tra semplificazione e rigore, attendiamo dunque il contenuto dell’Omnibus, la cui ratio disvelerà le intenzioni UE. Auspichiamo sia un’opportunità per ribadire gli impegni più “alti” accogliendo però le istanze del mondo produttivo e finanziario. E non un’occasione persa.