Il Legislatore sembra muoversi per porre rimedio alla violazione della CEDU constatata dalla Corte EDU con la sentenza Italgomme del 6 febbraio 2025. Al Senato è stato infatti presentato un disegno di legge che, nelle intenzioni, dovrebbe correggere il sistema censurato dalla Corte Europea.
In verità, va detto, il disegno di legge non sembra aver colto le indicazioni della Corte, per svariate ragioni.
A parte la nota di colore che nell’ipotizzata modifica dell’articolo 52 del Dpr n. 633/1973 si parla di “Uffici dell’imposta sul valore aggiunto”, che non esistono più, quello che desta maggiori perplessità è, poi, il contenuto concreto della proposta.
Al riguardo giova ricordare che la Corte EDU ha censurato il sistema italiano, acclarando una violazione degli articoli 6 ed 8 della CEDU, nella misura in cui la disciplina dettata dalla L. 14 gennaio 1929, n. 4 e dall’articolo 52 del Dpr n. 633/1973 prevede poteri di autorizzazione eccessivamente discrezionali (circa l’ampiezza dei poteri esperibili, le ragioni di innesco, gli anni coperti ecc.) e non contempla un controllo reale ex ante o ex post, né amministrativo né giudiziale.
Il problema è, poi, che la Corte ha voluto fornire indicazioni abbastanza precise su come il sistema dovrebbe essere corretto.
Ad avviso della Corte, occorre che le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali e a effettuare verifiche in loco nonché controlli fiscali sui locali commerciali e sui locali adibiti ad attività professionali, siano chiare, precise e puntuali. Occorre pertanto una motivazione ed una giustificazione effettiva della misura, alla luce di tali criteri. Inoltre, debbono essere fissate garanzie per evitare l'accesso indiscriminato o almeno la conservazione e l'uso di documenti e oggetti non connessi con l'obiettivo della misura. Il contribuente deve avere il diritto di essere informato dei motivi che giustificano la verifica e la sua portata, del suo diritto di essere assistito da un professionista e delle conseguenze del rifiuto di autorizzare la verifica. Soprattutto, occorre che il sistema preveda un controllo giurisdizionale effettivo e, in particolare, un controllo del rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri e delle restrizioni riguardanti le condizioni che giustificano la misura e la loro portata. In particolare, occorre che tali mezzi di ricorso non debbano essere subordinati al fatto che sia sopravvenuta l'emissione di un avviso di accertamento. Deve essere disponibile una qualche forma di riesame intermedio e vincolante prima che il controllo sia completato.
Ebbene, non sembra che la proposta di modifica legislativa colga appieno queste indicazioni.
Il primo intervento previsto è sull’articolo 52 del Dpr 633/1972, dove si prevede di inserire, nei casi in cui è richiesta l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica (accesso in locali che siano adibiti anche ad abitazione, accesso in locali destinati solo ad abitazione, perquisizioni personali e apertura coattiva di pieghi), la prescrizione per cui detta autorizzazione deve essere “motivata in ragione delle risultanze acquisite allo stato della verifica tributaria condotta dagli uffici dell’imposta sul valore aggiunto” (sic!).
Due notazioni. L’intervento è limitato ai soli casi in cui viene coinvolta la sfera privata, quando la Corte EDU si era preoccupata segnatamente degli accessi presso i locali dove si svolgono le attività economiche (che non prevedono l’autorizzazione del Procuratore). Quindi, l’intervento non sana assolutamente la mancanza evidenziata dalla Corte.
Poi, nel merito, l’intervento appare abbastanza anodino. La formula che si vuole inserire si presta assai facilmente ad essere svuotata da formulari precompilati, che bypassano una verifica puntuale del materiale a disposizione delle Agenzie fiscali. Piuttosto occorrerebbe ipotizzare un’interlocuzione, dove la Procura possa richiedere del caso integrazioni e motivare segnatamente le ragioni che giustificano la misura, quindi con un vaglio anche della consistenza delle risultanze acquisite (non solo della loro presenza).
Considerazioni analoghe ci possono poi riproporre per l’altra modifica pensata con l’introduzione di un nuovo articolo 52-bis, che dovrebbe prevedere la tutela giurisdizionale immediata in caso di accessi.
Anche qui, la misura è pensata per i soli casi di accessi presso le strutture private (in tutto od in parte) e per le perquisizioni e apertura di pieghi sigillati, mentre non si fa parola degli accessi nei locali ove si svolge l’attività. Che però era il tema affrontato dalla Corte EDU.
Nel dettaglio, si prevede un ricorso in Corte di Giustizia volto a chiedere l’annullamento dell’autorizzazione del Procuratore per conseguire l’inutilizzabilità del materiale probatorio eventualmente acquisito.
Anche qui vanno formulate due considerazioni. Non è chiaro che competenza possa avere la Corte a sindacare un’autorizzazione, che è comunque dotata di ampia discrezionalità; inoltre, non si prevede nessuna condanna a cessare l’attività, ma solo la sanzione dell’inutilizzabilità. Quindi, il danno prodotto dall’attività illegittima può di fatto protrarsi.
Insomma, la strada tracciata dalla sentenza Italgomme appare ancora lunga e non sembra che si sia intrapresa la strada giusta.