La sentenza resa dalla Corte Edu lo scorso 6 febbraio nella Causa Italgomme Pneumatici Srl et alii v. Italia avrà un impatto enorme sull’ordinamento tributario italiano, per una serie di motivi che cercherò, seppur brevemente, di illustrare. Non dopo avere chiarito che l’uso del tempo futuro (“avrà un impatto”) è giustificato esclusivamente da ragioni tecniche: normalmente le sentenze della Corte EDU diventano definitive dopo tre mesi dalla pubblicazione, perciò la pronuncia in commento è ancora in una sorta di “limbo giuridico”.
La sentenza rappresenta una evidente bocciatura dell’ordinamento tributario italiano, per quanto concerne la legittimità delle cosiddette verifiche in loco, ossia svolte presso la sede dell’attività del contribuente (di qualsiasi natura giuridica). Su BLAST è già stato evidenziato che:
a) la normativa sulle autorizzazioni all’accesso è del tutto lacunosa, non essendo disciplinata la motivazione sulla ragione degli accessi e delle ispezioni e sull’ampiezza delle verifiche da svolgere (ambito documentale e temporale) onde reperire gli elementi di prova riferibili a specifici indizi di violazione di norme tributarie (sembra ancora necessario spiegare che la formula “l’accesso è giustificato dalla necessità di controllare la regolarità fiscale delle annualità …” non è una motivazione sufficiente dell’atto di autorizzazione, suonando piuttosto come l’esplicita dichiarazione di volere procedere con una fishing expedition);
b) al contribuente non è offerto alcun rimedio giurisdizionale, poiché la Corte EDU ha accertato che sia la giurisdizione tributaria sia quella civile non sono in grado di rispondere all’imprescindibile requisito dell’effettività, nell’ordinamento CEDU non avendo valore alcuno i rimedi meramente teorici.
A tale ultimo riguardo sia consentito rilevare che la Corte EDU ha concesso un’eccezione importante al Legislatore italiano chiamato a modificare la normativa in contrasto con l’articolo 8 della CEDU, non avendo richiamato la necessità di un controllo giurisdizionale ex ante, almeno per quanto riguarda gli accessi presso le sedi delle attività economiche (nessuno dei 13 ricorsi esaminati nella Causa Italgomme riguarda l’accesso nell’abitazione del contribuente). I giudici di Strasburgo hanno tuttavia ribadito la necessità di un controllo, in fatto e in diritto, sulla legittimità di accessi e ispezioni sia nel corso del loro svolgimento sia ex post (speditezza dell’esame del ricorso ed efficacia dei rimedi sono elementi imprescindibili dell’effettività della riserva giurisdizionale, dunque anche della riserva sostanziale di legge secondo il significato giuridico autonomo che tale istituto assume nel diritto CEDU).
L’altro grande insegnamento che gli operatori del diritto tributario devono trarre dalla sentenza in esame è il definitivo “sdoganamento” del ricorso per saltum. L’articolo 35 della CEDU prescrive l’esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni, come una delle condizioni di ricevibilità del ricorso alla Corte EDU. Tuttavia, la giurisprudenza di Strasburgo ha sempre meglio chiarito, nel corso degli anni, i parametri che definiscono la necessarietà del previo esperimento dei mezzi di ricorso nazionali, subordinati al requisito della effettività. A fronte di normativa, prassi e giurisprudenza nazionali inequivocabilmente indirizzate a negare il riconoscimento dei diritti CEDU di cui il ricorrente lamenta l’illegittima compressione, il requisito del previo esaurimento dei rimedi giurisdizionali viene meno, perché il cittadino è chiamato ad esperire solo i rimedi giurisdizionali effettivi. Con un’inevitabile conseguenza sul piano delle condizione di ammissibilità del ricorso alla Corte EDU, ossia sul termine di decadenza per la presentazione del ricorso: il termine di quattro mesi che delimita la tempestività del ricorso normalmente decorre dalla data di pubblicazione della sentenza definitiva dell’ordinamento nazionale; ma se il cittadino ha a disposizione solo rimedi giurisdizionali non effettivi, il termine di decadenza inizia a decorrere da subito, rectius dalla data della violazione.
I difensori dei ricorrenti della Causa Italgomme sono stati bravissimi anche sotto questo profilo: non hanno aspettato la notificazione degli atti d’accertamento e non hanno sollecitato, nell’immediatezza degli accessi illegittimi, alcun giudice nazionale, procedendo direttamente con il ricorso per saltum. Se avessero atteso l’esito dei giudizi nazionali, il ricorso alla Corte EDU sarebbe stato giudicato inammissibile, in quanto intempestivo. Anche questo è un insegnamento prezioso per i difensori tributari italiani: la contestazione afferente alla violazione dell’articolo 8 della CEDU (con riferimento alle verifiche fiscali) deve essere inviata a Strasburgo entro il termine perentorio di quattro mesi dalla violazione del domicilio (e della corrispondenza) dei contribuenti assistiti (per le violazioni che si protraggono nel tempo rileva la data della cessazione della violazione).
Il ricorso alla Corte EDU non pregiudica la successiva impugnazione degli atti d’accertamento tributario, con la quale pure potrà essere contestata l’illegittima acquisizione degli elementi di prova afferenti alle asserite violazioni tributarie, ovvero la violazione tout court del diritto alla protezione del domicilio. Profondamente diverse sono infatti le domande proposte al giudice di Strasburgo e al giudice nazionale: al primo si chiede “ristoro” per la patita violazione di un diritto fondamentale; al secondo si chiede l’annullamento di un atto tributario. Ovviamente, nelle more del giudicato tributario, l’indennizzo economico fissato dal giudice di Strasburgo potrà essere parametrato esclusivamente sulla base dei danni documentati dal ricorrente, normalmente (per la fattispecie che ci occupa) di natura morale. Ferma restando la possibilità di presentare un ulteriore ricorso, nell’ipotesi in cui i giudici nazionali non abbiano saputo porre un rimedio effettivo ed esaustivo alle violazioni patite dal contribuente (si richiama la sentenza in esame nella parte in cui ammonisce lo Stato ad attuare non solo provvedimenti di carattere generale, ossia le modifiche normative, ma anche di carattere individuale, a tutela evidentemente dei ricorrenti usciti vincitori dalla Causa Italgomme).
Occorre infine rammentare l’insegnamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul “peso giuridico” delle sentenze emesse dalle varie composizioni collegiali in cui la Corte trova forma. Le sentenze del Comitato (di tre giudici), quelle della Camera (sette giudici) e quelle della Grande Camera (diciassette giudici) hanno tutte lo stesso valore (efficacia dichiarativa ed esecutiva), anche a prescindere dal carattere innovativo o ripetitivo delle pronunce. La sentenza in commento, in ogni caso, non abbisogna di ulteriori pronunce per consolidare un “orientamento” di garanzia rispetto all’articolo 8 della CEDU, considerata la giurisprudenza ormai risalente in tema di protezione del domicilio del contribuente (la celeberrima Causa Ravon et alii v. Francia, del 21.2.2008, ha, a sua volta, precedenti ultradecennali).
L’impatto della sentenza Italgomme è dirompente sia sull’assetto normativo dell’attività istruttoria e dei rimedi processuali, sia sull’attività del difensore tributario e, dunque, sulle opportunità di tutela effettiva delle persone, fisiche e giuridiche, assistite dal difensore. Le forme di tutela testé esaminate sono esperibili anche al cospetto degli altri cinque articoli della CEDU sistematicamente violati dall’ordinamento tributario italiano. Ma su questi avremo altre occasioni di commento.