L’atto del MEF sull’abuso del diritto “indirizza” anche le decisioni delle Corti tributarie
di Andrea Gaeta e Maurizio Nadalutti
Avevamo già segnalato, su Blast i primi riflessi concreti dell’atto di indirizzo sull’abuso del diritto del 27 febbraio 2025 del Dipartimento delle Finanze sull’operato degli uffici dell’Agenzia. Effetti che si riscontrano ora anche nelle aule delle Corti di giustizia tributarie.
È il caso, ad esempio, della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Ferrara (sentenza n. 55/2025 depositata il 9/4/2025), chiamata ad esprimersi in ordine all’elusività di una complessa operazione di riorganizzazione aziendale che prendeva le mosse dalla rivalutazione delle quote di partecipazione da parte di un socio che le aveva ottenute per successione.
Come spesso accade in queste occasioni, l’Agenzia delle Entrate, contestando il presunto indebito vantaggio conseguito dal socio - in quanto sarebbe stata violata la ratio della disciplina della rivalutazione delle partecipazioni - aveva riqualificato il recesso atipico realizzato in un’ipotesi di distribuzione di dividendi.
Sul punto, la CGT di Ferrara, nell’argomentare la propria decisione, ha valorizzato in modo esplicito l’atto di indirizzo del MEF del 27 febbraio 2025, stabilendo chiaramente che non si configura abuso del diritto nell’ipotesi in cui la rivalutazione delle partecipazioni risulti funzionale alla successiva dismissione delle stesse, anche quando questa avvenga in favore di altri soci e non di terzi estranei, purché non si tratti di operazioni meramente circolari. In sostanza, ciò che rileva non è l’etichetta giuridica degli atti, ma la coerenza sostanziale con la ratio delle norme: se l’operazione determina effettivamente un disinvestimento, e se il vantaggio fiscale è quello che il legislatore intendeva riconoscere, allora non può configurarsi abuso del diritto.
Inoltre, la Corte sottolinea che, ai fini della verifica dell’elusività della condotta del contribuente, non va ricercato se sussiste un’operazione, alternativa a quella messa in atto, che comporta un trattamento fiscale più gravoso. Infatti, in conformità con la disposizione recata dall’articolo 10-bis, comma 4, dello Statuto del contribuente, a mente della quale “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”, al contribuente deve essere data la possibilità di scegliere liberamente tra diversi percorsi giuridici che comportano differenti carichi fiscali.
Tutto ciò a prescindere dalla sussistenza di una “sostanza economica” alla base dell’operazione realizzata. Laddove l’operazione sia coerente con il sistema, non vanno infatti ricercate valide ragioni extrafiscali non marginali per escludere l’abuso del diritto.
Il contribuente può scegliere un determinato percorso giuridico anche con il solo fine di ottenere un risparmio in termini di imposte da versare all’erario.
Cosicché, l’Amministrazione finanziaria non può invocare il fatto che il medesimo risultato voluto si sarebbe potuto ottenere realizzando il recesso tipico del socio, operazione per la quale la rivalutazione delle partecipazioni non ha alcun effetto.
In proposito, va peraltro ricordato che il recesso tipico del socio può ricorrere esclusivamente nelle ipotesi espressamente tipizzate dal legislatore (articolo 2437 del Codice civile) o nelle fattispecie statutarie ulteriori, sempre disciplinate dallo stesso articolo 2437 (comma 4). Il recesso non è rimesso pertanto alla libera disponibilità delle parti.
In definitiva, come più volte si è riportato, e come è stato avvalorato dall’atto di indirizzo del MEF, se è l’ordinamento nel suo complesso a contemplare un’opzione più favorevole, la scelta del contribuente di avvalersene ponendo in essere i relativi presupposti non può configurare abuso del diritto, anche se la scelta è stata motivata da esclusive ragioni fiscali.
La sentenza della CGT di Ferrara si è dunque correttamente allineata a questi principi, riportando alcuni passaggi dell’atto di indirizzo del MEF per motivare la propria decisione.
L’auspicio è che questa lettura trovi ampia conferma in futuro, contribuendo a disinnescare una certa tendenza “inquisitoria” nell’applicazione dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente e a riconoscere agli operatori economici il diritto di organizzare liberamente i propri affari anche in funzione fiscale, senza il timore di vedersi contestare scelte pienamente legittime, effettuate in coerenza con la ratio delle norme.