Primi effetti dell’atto di indirizzo: l’acquisto di azioni proprie prima affrancate non è elusivo
di Maurizio Nadalutti
L’Agenzia delle Entrate – sia a livello centrale, sia a livello periferico – negli ultimi tempi aveva un po’ perso di vista i principi che definiscono l’abuso del diritto.
Si sono difatti manifestate crescenti contestazioni aventi ad oggetto ipotesi di elusione, anche nei casi in cui la condotta del contribuente risultava (risulta) perfettamente lecita.
Una fattispecie particolarmente “indigesta” si è rivelata quella dell’acquisto di azioni proprie, previamente rivalutate dagli azionisti, da parte di società per azioni.
Operazioni di questo genere sono state finora contestate in più occasioni dagli uffici amministrativi, ma dopo la pubblicazione dell’atto di indirizzo del MEF del 27/02/2025 pare che qualcosa stia cambiando. In tal senso si segnala un recente apprezzabile “ravvedimento” da parte di un ufficio periferico.
Il caso è il seguente.
Un socio di una società di capitali intende fuoriuscire dalla compagine sociale della società medesima. Effettua la rivalutazione delle proprie azioni ai sensi dell’articolo 5 della L. 448/2001 e cede parte di esse agli altri soci. Rimangono tuttavia delle azioni invendute, in quanto non si riscontrano soggetti interessati all’acquisto delle stesse.
A quel punto le azioni residue vengono acquistate dalla società. Il socio cedente beneficia anche in questo caso degli effetti dell’affrancamento.
La sequenza negoziale “acquisto di azioni proprie previamente affrancate dall’azionista” viene però messa sotto esame dall’Agenzia delle Entrate, la quale contesta che si sarebbe realizzato il recesso “tipico” del socio - non quello “atipico” - con la conseguenza che il reddito da quest’ultimo conseguito avrebbe dovuto essere tassato ai sensi dell’articolo 47, comma 7, del Tuir, senza la possibilità di considerare, ai fini della determinazione del reddito imponibile, gli effetti della rivalutazione delle azioni. Viene così contestato l’abuso del diritto.
L’operazione così strutturata non configura però abuso, in quanto le parti in causa si sono avvalse di un percorso giuridico perfettamente contemplato dall’ordinamento, che non viola la ratio delle disposizioni normative di riferimento. Ciò, a prescindere dalla sussistenza di “valide ragioni extrafiscali”, che comunque nel caso di specie supportavano i negozi giuridici messi in atto.
Tanto più se il socio che cede le azioni alla società esce in modo definitivo dalla compagine sociale.
L’assenza di condotte elusive in tale specifico caso era già stata valorizzata dalla stessa Amministrazione finanziaria nella risposta ad interpello n. 242/2020, nella quale era stato riportato che “la cessione delle partecipazioni, previamente rivalutate, detenute dai soci uscenti appare operazione fisiologica per la fuoriuscita definitiva dalla compagine sociale di ALFA da parte dei soci uscenti, non integrando perciò alcun vantaggio fiscale indebito”.
Tuttavia, più di recente, nella risposta ad interpello n. 195/2024, le Entrate hanno affermato che anche nell’ipotesi di fuoriuscita definitiva dalla compagine sociale dei soci può configurarsi in abuso del diritto.
Cosicché, gli uffici periferici, forti di questo nuovo orientamento, hanno contestato l’abuso del diritto anche in situazioni come quella sopra esposta.
Nell’atto di indirizzo del MEF del 27/02/2025 è stato però correttamente riportato che “il valore volontariamente affrancato ben potrà essere utilizzato per ridurre il prelievo sulle plusvalenze realizzate non solo in sede di quantificazione delle plusvalenze imponibili da cessione a soggetti terzi e indipendenti rispetto al cedente, ma anche in sede di cessione della partecipazione a favore di altri soci (c.d. recesso atipico)”. L’unico limite è rappresentato dalle “operazioni meramente circolari”.
Ebbene, nel caso di acquisto di azioni proprie previamente affrancate dall’azionista che fuoriesce in modo definitivo dalla compagine sociale non si realizza alcuna operazione circolare, motivo per cui la sequenza negoziale deve ritenersi perfettamente legittima.
Nell’atto di indirizzo è stato inoltre correttamente specificato che l’assenza di sostanza economica va eventualmente indagata – in via subordinata – solo nel caso in cui si configuri un vantaggio fiscale indebito, altrimenti tale verifica risulta del tutto superflua, in quanto comunque l’operazione non può essere ascritta ad abuso del diritto.
Sicché, nello specifico caso di cui si è dato conto, l’ufficio amministrativo, preso atto delle indicazioni del MEF, si è avvalso dell’esercizio dell’autotutela obbligatoria, ai sensi dell’articolo 10-quater dello Statuto del contribuente, annullando lo schema d’atto in precedenza emesso.
L’auspicio è che anche gli altri uffici periferici si orientino nella stessa direzione.