Nell’ultimo articolo scritto per Blast ho ragionato sull’importanza del linguaggio e dei comportamenti, anche in contesti di socialità: l’uno e gli altri possono contribuire, si è detto, a un cambiamento culturale, presupposto necessario per la lotta alla violenza di genere.
Mi sembra rilevante tornare a parlarne perché in questo mese di giugno 2025 il linguaggio è stato protagonista.
Il 18 giugno si è celebrata la “Giornata Internazionale per Contrastare i Discorsi d’Odio”, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare sulle devastanti conseguenze che le espressioni di questo tipo possono determinare, soprattutto nei più giovani. Si tratta di discorsi utilizzati per alimentare la paura, talvolta a fini politici, per incitare alla violenza e alla discriminazione e per ostacolare il dialogo.
La Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) definisce i discorsi d’odio come “l’istigazione, la promozione o l’incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo, e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione, fondata su una serie di motivi quali la ‘razza’, il colore, la lingua, la religione o le convinzioni, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza, l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e ogni altra caratteristica o situazione personale”.
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