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Economia

Dati al posto del grano. Il paradosso digitale del nuovo paesaggio

di Gabriele Silva

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Blast
set 12, 2025
∙ A pagamento
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In un precedente intervento ci siamo chiesti cosa succede quando l'erba lascia spazio alla logistica. Questa volta alziamo lo sguardo di qualche metro, ma restiamo con i piedi ben piantati nel terreno. O meglio, in quello che resta del terreno, dopo che ci si costruisce sopra un data center.

Non c'è bisogno di cercare molto lontano. Sempre più spesso, ai margini delle nostre città o direttamente nei campi, spuntano enormi parallelepipedi grigi. Non sono supermercati. Non sono uffici. Non sono neppure fabbriche. Sono data center. E sono ovunque.

I data center sono le cattedrali moderne del nostro tempo. Strutture fisiche, immense, progettate per ospitare infrastrutture IT: server, storage, apparati di rete, sistemi di sicurezza. Sono il cuore tecnologico del mondo digitale. Servono a elaborare, archiviare, proteggere e rendere accessibili i dati che utilizziamo ogni giorno, anche senza saperlo. Ogni nostra azione online – un messaggio, una foto, una prenotazione, una ricerca – passa per uno di questi templi grigi.

Col tempo, sono diventati sempre più sofisticati. Da semplici bunker aziendali a veri e propri ecosistemi virtualizzati, distribuiti in cloud pubblici, privati e ibridi. Oggi, un data center non è solo un magazzino digitale. È un organismo vivo, che respira energia e produce calore. Tanto calore.

E qui iniziano i problemi.

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