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La trasformazione silenziosa della campagna in magazzino globale

di Gabriele Silva

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Blast
set 06, 2025
∙ A pagamento
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«Là dove c'era l'erba ora c'è una città, e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà?»

Era il 1966 quando Adriano Celentano cantava "Il ragazzo della via Gluck". Un inno malinconico, quasi profetico, che parlava di una trasformazione urbanistica ancora agli albori. Mezzo secolo dopo, quella stessa frase suona come un triste aggiornamento automatico del paesaggio italiano. Solo che oggi, al posto della città, ci troviamo capannoni logistici, piazzali infiniti, container impilati come mattoncini Lego. E quella casa in mezzo al verde? Probabilmente demolita, o inglobata in un rendering.

Ci stiamo trovando anche noi un po' nella stessa situazione? Forse peggio. Perché almeno negli anni '60 la città portava con sé un'idea di modernità, di comunità, di servizi. Oggi, invece, al posto dell'erba arriva la logistica: silenziosa, impassibile, disumanizzata. Non costruisce quartieri, ma snodi. Non ospita famiglie, ma pallet. E non parla di futuro, ma di consegne rapide.

Là dove c’era l’erba, ora c’è un capannone. Immenso. Grigio. Silenziosamente operativo. Una logistica.

Succede in silenzio, un po' ovunque. Ma in Italia ha qualcosa di paradossale. Perché siamo il Paese dove il paesaggio ha sempre avuto voce. E invece oggi, quel paesaggio tace. Perché è stato coperto da metri cubi di cemento e scaffali industriali. Sostituito da un'idea sbagliata di progresso. Non quella che innova, ma quella che occupa spazio.

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