Con il decreto 28 aprile 2025, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha definito i criteri per la formulazione della proposta di concordato preventivo biennale (CPB) per il periodo d’imposta 2025-2026. Il provvedimento rappresenta l’attuazione, per il biennio 2025-2026, delle previsioni contenute nell’articolo 9 del Dlgs n. 13/2024, e conferma l’approccio algoritmico e settoriale già sperimentato con il DM 14 giugno 2024 per il biennio precedente.
l sistema si fonda su un impianto algoritmico che attribuisce rilievo ai singoli indicatori di affidabilità fiscale (quali, ad esempio, ricavi per addetto, durata delle scorte, incidenza dei costi residui), stimando per ciascuno le eventuali anomalie e traducendole in correzioni reddituali. Alcuni indicatori risultano direttamente migliorabili mediante l’incremento dei ricavi, come nel caso del “valore aggiunto per addetto”, per il quale l’algoritmo calcola l’importo necessario a massimizzare il punteggio.
Per altri indicatori, che non prevedono una correlazione diretta con le componenti positive di reddito, il sistema ricorre alla costruzione di algoritmi specifici che consentono una valorizzazione indiretta delle anomalie. In tali casi, il parametro del “valore aggiunto per addetto” assume un ruolo trasversale, fungendo da benchmark per tradurre tutte le anomalie in maggiori ricavi richiesti.
Non mancano tuttavia profili di criticità, in particolare:
- la funzione del “valore aggiunto per addetto” tende ad assorbire e amplificare ogni correzione apportata ad altri indicatori (quali scorte, numero di addetti, ammortamenti), con il rischio di generare risultati ridondanti e difficilmente verificabili;
- non risulta sempre trasparente la logica sottesa alla taratura dei coefficienti correttivi: le soglie settoriali, basate su parametri come, ad esempio, il numero di posti o i chilometri percorsi (𝑏_posti, 𝑏_km), appaiono in taluni casi costruite su basi arbitrarie e applicate in modo rigido, senza margini di valutazione soggettiva.
Va inoltre rilevato che nel meccanismo delineato, da un lato, le anomalie vengono valutate e corrette in modo automatico, senza possibilità per il contribuente di motivare la coerenza dei propri valori anomali (si pensi, ad esempio, a scorte elevate legate a dinamiche stagionali o cicliche); dall’altro, manca un sistema strutturato di autodichiarazione qualitativa o documentale che consenta di neutralizzare le correzioni algoritmiche in presenza di giustificazioni plausibili. Il modello, in tal modo, tende a ignorare le specificità individuali – come nel caso di imprese stagionali, start-up, o soggetti in fase di ristrutturazione – e si fonda su presunzioni generalizzate che rischiano di penalizzare operatori in condizioni economiche peculiari o con strategie di business non omologate (ad esempio, aziende ad alta intensità di R&S con marginalità ridotta nel breve periodo).
Ulteriore elemento di rigidità dello strumento è rappresentato dalla previsione secondo cui la maggiore stima risultante dalla correzione degli indicatori viene a sua volta moltiplicata per un coefficiente di benchmark (𝑏_bench), ricavato dai contribuenti considerati pienamente affidabili: tale meccanismo, che assume i contribuenti “virtuosi” come modello di riferimento, rischia di generare un innalzamento artificiale dei valori reddituali degli altri soggetti, anche in assenza di anomalie sostanziali. Ne deriva il rischio concreto che la proposta di concordato ecceda la reale capacità contributiva del soggetto, con conseguenti distorsioni nella determinazione del reddito concordato.
Inoltre, numerosi indicatori sono oggetto di correzione solo entro soglie massime prestabilite (ad esempio: massimo di tre addetti, rivalutazione media triennale limitata al ±10%, incremento reddituale non superiore a 40.000 euro). Tali limiti, pur concepiti per garantire un certo grado di uniformità, finiscono per appiattire le differenze effettive tra contribuenti, riducendo la capacità del sistema di cogliere deviazioni significative e introducendo, di fatto, una “zona grigia” di stima forzata, in cui il valore proposto non riflette né l’anomalia né la realtà economica del soggetto.
Non può infine passare inosservata una significativa contraddizione tra le previsioni contenute nei decreti del CPB e le indicazioni contenute nel piano dei controlli 2025. L’articolo 6, comma 8, del DM 14 giugno 2024 – espressamente richiamato anche dall’articolo 6 del nuovo decreto 28 aprile 2025 – stabilisce che la mancata adesione alla proposta di concordato non comporta, di per sé, alcuna conseguenza negativa automatica ai fini della selezione per il controllo.
Eppure, nel piano dei controlli per il 2025, l’Agenzia delle Entrate ha inserito proprio la mancata adesione al CPB tra i criteri di selezione prioritaria, attribuendole rilevanza come “indicatore” di rischio. La contraddizione è evidente e conferma – come già sottolineato su queste pagine – che quanto riportato nel piano operativo del Fisco rappresenti, più che un criterio oggettivo di selezione, l’ennesima opera di persuasione indiretta, funzionale alla nuova campagna di adesione al concordato.
In definitiva, sebbene l’obiettivo dichiarato sia quello di semplificare il rapporto fiscale e incentivare la compliance, la metodologia algoritmica sottesa al CPB evidenzia un’intrinseca tensione tra standardizzazione e personalizzazione. L’automatismo tecnico, per quanto sofisticato, mal si adatta alla complessità delle dinamiche economiche reali, rischiando di trasformare un impianto formalmente oggettivo in un sistema opaco e potenzialmente iniquo, soprattutto in assenza di adeguate tutele procedimentali e di un effettivo diritto al contraddittorio.