Cattivi pensieri (ma non sempre) - Riparte l'odiosa “campagna”: se non aderisci al concordato ti controllo
di Dario Deotto
È notizia della scorsa settimana che nel piano dei controlli 2025 dell’Agenzia delle Entrate uno dei principali indicatori è rappresentato dalla mancata adesione del contribuente al concordato preventivo 2024.
Viene prevista, infatti, un’intensificazione dei controlli nei confronti dei soggetti che hanno scelto di non adeguarsi alla proposta del Fisco.
Tutto ciò – apparentemente – risulterebbe in linea con la previsione dell’articolo 34 del Dlgs 13/2024, in base al quale viene stabilito che Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza programmano l’impiego di maggiore capacità operativa nei confronti dei soggetti che non aderiscono al concordato preventivo. Si tratta di una previsione, peraltro, in linea con quelle delle varie forme condonistiche o pseudo-tali del passato: questo per far sì che i contribuenti le utilizzassero. Tali disposizioni sono sempre state viste più come “psicologiche” che come ipotesi concrete.
Proprio in relazione al concordato preventivo, occorre infatti notare che tra le disposizioni attuative dell’istituto – si veda l’articolo 6, comma 8, del Dm 14 giugno 2024 – si dispone espressamente che “la mancata accettazione della proposta non produce alcuna conseguenza negativa automatica a carico degli interessati, con particolare riferimento alla valutazione del loro livello di affidabilità fiscale che, ai fini dell’attuazione dell’art. 34 del decreto legislativo, resta subordinata a specifiche attività di analisi del rischio”. La previsione del Dm prevede, in sostanza, che non c’è nessun automatismo: se non si aderisce al concordato, non significa giocoforza essere inseriti tra i soggetti da sottoporre a controllo.
E, allora, perché il piano dei controlli 2025 prevede una maggiore “attenzione” nei confronti di chi non ha aderito alla proposta di concordato del 2024?
La sensazione è che si tratti dell’ennesima opera di convincimento psicologica indotta dalla nuova campagna di adesione all’istituto.
Il fatto è che quest’ultimo continua a non convincere, e non si crede che le adesioni – anche questa volta – saranno particolarmente significative. Non si comprende – davvero – perché si continua a insistere su questa misura che non ha mai, nemmeno in passato, riscontrato particolare appeal. Si può certamente perseguire la logica – sbandierata in più occasioni – di giungere ad una definizione ex ante del rapporto tributario, rispetto a quella ex post, ma ciò deve necessariamente passare attraverso un’effettiva interlocuzione costante e preventiva con l’amministrazione prima della presentazione della dichiarazione. È quello che accade nell’adempimento collaborativo e che – ci si augura – accadrà con l’adozione volontaria del Tcf. Ma non è ciò che si verifica nel concordato preventivo il quale, in spregio alla previsione della legge delega n. 111/2023 – che fa riferimento ad un contraddittorio semplificato –, si basa sostanzialmente su dei presupposti algoritmici, e su un “prendere o lasciare”. Per cui si “prende” quando si è davvero sicuri di guadagnarci, altrimenti si “lascia”. Proprio sul “lasciare” dovrebbe fare qualche riflessione anche la stessa Agenzia (così come il Mef): se non (si) può “lasciare” – a questo punto, considerati gli sforzi fatti – il concordato preventivo, almeno si smettano certi fastidiosi pseudo-ricatti.