CPB e ravvedimento speciale alla prova del 31 marzo: scenari e implicazioni operative
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Nel quadro normativo sempre più flessibile – per non dire disinvolto – in cui si muove la recente stagione tributaria, il combinato disposto tra concordato preventivo biennale (CPB) e ravvedimento speciale introdotto dal Dl 113/2024, articolo 2-quater, si rivela terreno fertile per riflessioni tanto tecniche quanto critiche. Cuore della questione è il comma 14, norma che interviene sui termini decadenziali dell’attività accertativa dell’Amministrazione, prorogandoli sino al 31 dicembre 2027 per le annualità 2018-2021 oggetto di ravvedimento.
Tale proroga si pone in evidente deroga al dettato dell’articolo 3 dello Statuto del contribuente (L. 212/2000), secondo cui le norme tributarie non possono disporre proroghe dei termini di decadenza né riaprire termini già spirati. Eppure, ancora una volta, con un tratto di penna, il legislatore dilata l’azione del Fisco, allungando di anni la vita potenziale di accertamenti per annualità già (o quasi) consegnate all’oblio giuridico (su questo aspetto abbiamo già parlato su Blast: Uno statuto più forte per un fisco più credibile).
Il sistema delle proroghe che emerge dal quadro normativo delineato dal comma 14 dell’articolo 2- quater può essere così rappresentato:
1) La prima proroga si applica a tutti i soggetti ISA che aderiscono al CPB, a prescindere dall’eventuale adesione al ravvedimento speciale: per costoro il termine per gli accertamenti in scadenza alla data del 31 dicembre 2024 è stato automaticamente prorogato al 31 dicembre 2025.
2) La seconda proroga interessa i soggetti ISA che, oltre ad avere aderito al CPB, utilizzano il ravvedimento speciale per le annualità dal 2018 al 2021 (ovviamente con riferimento alle sole annualità ravvedute): in tale ipotesi i termini di decadenza per gli accertamenti, limitatamente ai periodi oggetto di regolarizzazione, vengono prorogati al 31 dicembre 2027. Con specifico riferimento all’annualità 2021, occorre tuttavia precisare che non si configura una vera e propria proroga, dal momento che il 31 dicembre 2027 rappresenta il termine ordinario di decadenza, salvo che tale annualità benefici della riduzione prevista dal regime premiale ISA.
In prossimità della scadenza del 31 marzo 2025 per il versamento della prima (o unica) rata del cosiddetto “ravvedimento speciale”, appare dunque opportuno che i contribuenti interessati procedano a una verifica accurata delle annualità tuttora accertabili da includere nell’istituto.
Il criterio guida è piuttosto lineare: come si è riportato, per i soggetti Isa che hanno aderito al concordato la proroga dei termini di accertamento al 31 dicembre 2025 riguarda esclusivamente quelle annualità per le quali il termine ordinario di decadenza sarebbe scaduto il 31 dicembre 2024. Ne consegue che, laddove per l’anno d’imposta 2018 sia applicabile la riduzione di un anno dei termini di accertamento per effetto del regime premiale ISA, il termine risulta già spirato al 31 dicembre 2023, e non può certo “riprender vita”.
In tal caso, l’adesione al ravvedimento speciale si rivelerebbe priva di efficacia sostanziale, e anzi si tradurrebbe in un onere del tutto inutile per il contribuente. Diversamente, in assenza di applicazione del regime premiale ISA, e qualora il contribuente abbia aderito al concordato preventivo biennale (CPB), i termini di accertamento relativi all’annualità 2018 risulterebbero prorogati automaticamente al 31 dicembre 2025, indipendentemente dall’eventuale adesione al ravvedimento speciale. A supporto di tale interpretazione si richiama la risposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 5-03163 del 27 novembre 2024.
Per quanto riguarda la seconda proroga, a seguito dell’adesione al ravvedimento speciale, i termini di decadenza per l’attività di accertamento relativi a tutte le annualità oggetto di regolarizzazione risultano prorogati al 31 dicembre 2027.
Il meccanismo si articola dunque come segue: un contribuente soggetto agli ISA che abbia aderito al concordato preventivo biennale (CPB) e abbia contestualmente deciso di regolarizzare, mediante il ravvedimento speciale, le annualità dal 2018 al 2021, vedrà automaticamente estendersi fino al termine del 2027 il periodo entro cui l’Amministrazione finanziaria potrà esercitare il potere accertativo in relazione a tali annualità.
Pur trattandosi di un ravvedimento – sebbene qualificato come “speciale” – la proroga dei termini di accertamento al 2027 potrebbe, in taluni casi, configurarsi addirittura come una riduzione del termine ordinario. Al di fuori dell’ipotesi del ravvedimento speciale, infatti, il contribuente che, ad esempio nel 2025, intendesse presentare dichiarazioni integrative per le medesime annualità oggetto della “sanatoria” di cui all’articolo 2-quater del Dl 113/2024 subirebbe lo slittamento in avanti dei termini decadenziali sino al 2030 (articolo 1, comma 640, della L. 190/2014).
La disposizione contenuta nel comma 10 dell’articolo 2-quater del Dl n. 34/2019, che sancisce l’inibizione dell’attività di accertamento per le annualità regolarizzate, conferisce al ravvedimento speciale una connotazione di forte “protezione”, accentuandone la natura eccezionale. E di conseguenza, non può non rilevarsi il fatto che chi sceglie di chiudere il proprio passato tributario attraverso tale strumento, si trovi, quale contropartita, ad affrontare un prolungamento dell’esposizione al rischio accertativo. Che tale rischio sia attenuato, sul piano formale, dalla presenza di preclusioni legali all’attività di accertamento – salvo decadenza dal concordato preventivo o commissione di gravi reati tributari – rileva fino a un certo punto. L’estensione dei termini comporta comunque un inevitabile innalzamento, anche solo sul piano psicologico, del senso di vulnerabilità del contribuente rispetto a futuri controlli.
Appare dunque imprescindibile una valutazione attenta della reale convenienza di questo ravvedimento, che, pur richiamando l’intento conciliativo di una “pace fiscale”, ne disattende le premesse tecniche tipiche. Ci si trova, infatti, dinanzi a uno strumento che offre sì una regolarizzazione, ma in forma condizionata e potenzialmente revocabile, il cui prezzo è una proroga, peraltro surrettizia, dei poteri di accertamento dell’Amministrazione finanziaria.
Tuttavia, il nodo non è solo di ordine utilitaristico. Ben più rilevante è il profilo sistemico: può davvero il legislatore disporre – con tale disinvoltura – proroghe dei termini decadenziali su annualità che, in base alla disciplina ordinaria, si sarebbero già consolidate ben prima del 2027? È legittimo che ciò avvenga in assenza di qualsivoglia richiamo a situazioni straordinarie, in un contesto storico in cui il principio di certezza del diritto dovrebbe rappresentare un presidio irrinunciabile?
Il sospetto, sempre più fondato, è che si sia consolidato un modello di diritto tributario caratterizzato da una perenne eccezionalità, in cui le garanzie del contribuente – e in primis quella dell’intangibilità del tempo decorso – vengono sistematicamente subordinate a esigenze di gettito o di opportunità politica. Un’inversione di rotta profonda, che rischia di dissolvere il confine tra l’auspicata ragionevolezza del sistema e una preoccupante deriva verso l’arbitrio normativo.