Il presente intervento prende spunto dall'articolo di Michele D’Agnolo (pubblicato su Blast, Gli studi professionali scoprono il problema generazionale), che senz’altro porta a più di qualche riflessione.
In effetti, il problema relativo alla difficoltà di reperire tra i collaboratori degli studi professionali soggetti capaci di rilevare lo studio e condurlo nel futuro con successo è reale, ma risulta anche legato al possesso di quel talento personale che fa di un buon tecnico anche un professionista. Per professionista si intende innanzitutto il detentore di una serie di relazioni fiduciarie. Ciò che distingue un esperto da un vero professionista sta tutta lì.
La difficoltà denunciata riguardo le problematiche connesse ai passaggi generazionali nel mercato professionale italiano nasconde forse malesseri più profondi?
Come noto, la relazione fiduciaria è l’archetipo delle prestazioni professionali, in quanto queste sono credence per eccellenza. Le prestazioni credence sono quelle in cui il cliente non è in grado di valutarne la qualità né prima né dopo che la prestazione è stata effettuata.
Senza addentrarci in questioni che ci porterebbero troppo lontano, basti dire che alla base del fenomeno economico delle aggregazioni professionali sta proprio la natura squisitamente fiduciaria del rapporto cliente-professionista.
Prima di entrare nel merito, è necessaria un’altra premessa: i mercati professionali si definiscono in base alla struttura del mercato di riferimento. Se, come nel caso del mercato italiano, la quasi totalità della clientela è costituita da microimprese, anche la struttura del mercato delle professioni finirà per essere caratterizzata da studi di modestissima dimensione.
Il mercato professionale si specchia nel mercato di riferimento.
A questo punto, possiamo approfondire le criticità che caratterizzano il mercato professionale italiano, che, per il principio dello specchio sopra evidenziato, mostra segnali di declino tipici di un’economia in difficoltà, rendendo complicato il passaggio generazionale. I due elementi che segnano inequivocabilmente il declino del mercato professionale sono: l’invecchiamento della popolazione di professionisti e la scarsa produttività degli studi professionali, certamente legata alla loro piccolissima dimensione. Il primo è facilmente osservabile, il secondo è stato oggetto di vari studi.
Analizzando specificamente il passaggio generazionale, possiamo osservare:
Se si formano, di fatto, dei dipendenti, non ci si può aspettare professionisti indipendenti. Questo è un nodo cruciale: molti studi selezionano e formano collaboratori con un’impostazione impiegatizia, anche a livello retributivo, per motivi di controllo e gestione interna. Tuttavia, poi non ci si può lamentare della mancanza di spirito imprenditoriale o della scarsa capacità di portare avanti lo studio.
Il passaggio generazionale va pianificato per tempo, altrimenti non si rivelerà realizzabile. Se si aspetta troppo per creare una continuità nello studio, il rischio è che a un certo punto diventi impossibile. Il trasferimento del patrimonio relazionale e reputazionale è già di per sé difficilissimo; se affrontato in emergenza, è praticamente non realizzabile.
Se uno studio non cessa di essere una persona per diventare un brand, diventa complicato trasferirlo. Se tutto lo studio si regge sul piano relazionale con il fondatore, al momento del passaggio non c’è nulla da cedere. Per cedere uno studio, deve già esistere uno studio ben strutturato, perché non si può cedere l’anima di un professionista.
I micro studi sono difficilmente cedibili. Salvo casi di “passaggio familiare”, difficilmente si trova un mercato per studi troppo piccoli. Va anche considerato che i titolari, grazie alle pensioni calcolate con il sistema retributivo (più generoso rispetto al sistema contributivo), sono stati meno incentivati a monetizzare una eventuale cessione, che avrebbe comportato la necessità di un approccio completamente diverso, con il rischio di formare collaboratori potenzialmente concorrenti nel tempo.
Concludendo, oltre alle criticità legate ai passaggi generazionali, è necessario affrontare alcune problematiche sistemiche che potrebbero incidere sull’appeal delle professioni italiane, che faticano sempre più a raccogliere le eccellenze del mercato.
Le relazioni fiduciarie delle professioni si articolano su due livelli: quella tra professionista e cliente, e quella tra aggregazioni professionali e collettività. Quest’ultima giustifica la delega di funzioni pubbliche alle professioni organizzate, poiché le loro prestazioni incidono sulla corretta allocazione delle risorse pubbliche. Tuttavia, affinché tali aggregazioni mantengano la loro funzione, devono essere indipendenti dal potere politico, attraverso forme di auto-organizzazione, di cui i codici deontologici rappresentano il momento più significativo.
Nei sistemi democratici, questo equilibrio ha avuto sviluppi alterni, ma oggi è evidente una progressiva riduzione del perimetro di delega, soprattutto nella professione economica. L'invadenza dell'Agenzia delle Entrate in ambito tributario e la proliferazione di elenchi ministeriali privi di auto-organizzazione stanno frammentando il ruolo del dottore commercialista, compromettendone l’indipendenza e la funzione.
Si pongono due domande:
La struttura del mercato professionale, con la debolezza dovuta alla prevalente micro dimensione, rende più difficile la rivendicazione di una professione più indipendente?
Quale impatto, in termini di corretta allocazione delle risorse pubbliche, genera una professione costretta a rincorrere il potere pubblico per ottenere qualche riconoscimento, rispetto allo schema ideale in cui il potere pubblico delega autorità alle professioni che fungono da vere e proprie autorità indipendenti?
Non sembra che queste questioni siano all’ordine del giorno nel dibattito pubblico, nemmeno all’interno delle professioni. Forse è giunto il momento del cambiamento e questo cambiamento deve partire dalle professioni italiane.