Negli ultimi anni il tema del passaggio generazionale negli studi professionali italiani sta emergendo come una delle sfide più complesse da affrontare. Studi di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro, anche ben dimensionati e solidamente posizionati sul mercato, si trovano spesso in difficoltà nel trovare al proprio interno eredi in grado di raccogliere il testimone dei fondatori.
La questione non è solo legata alla disponibilità di giovani professionisti interessati a subentrare, ma riguarda soprattutto la mancanza di adeguate capacità commerciali, imprenditoriali e finanziarie da parte della seconda generazione di professionisti. I fondatori di questi studi, che negli anni hanno costruito solide realtà, si trovano oggi di fronte a collaboratori e associati di grande valore tecnico, ma privi della visione strategica e della propensione alla gestione necessarie per guidare uno studio in un contesto sempre più competitivo.
Molti studi hanno, di fatto, allevato i loro successori "in cattività": ottimi professionisti, eccellenti esperti nelle loro materie, ma del tutto privi di capacità manageriali e commerciali. In un ambiente in cui la stabilità e la competenza tecnica erano sufficienti a garantire la continuità dello studio, la necessità di sviluppare competenze di leadership, negoziazione e sviluppo del business è stata trascurata. Il risultato è una generazione di professionisti che, pur essendo all’altezza delle sfide tecniche della professione, non ha sviluppato la capacità di attrarre nuovi clienti, gestire il personale, pianificare strategie di crescita o garantire la sostenibilità finanziaria dello studio nel lungo termine.
Oggi inoltre la partnership non è più così ambita come un tempo ed anzi c'è chi preferisce rimanere collaboratore per godere di un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata. Così occorre stare attenti a chi si offre la partnership perché si potrebbe ricevere un sonoro “no grazie”.
A questo si aggiunge la questione della capacità finanziaria necessaria per rilevare le quote dei soci fondatori. Anche laddove vi siano collaboratori motivati a raccogliere l’eredità dello studio, la mancanza di risorse economiche adeguate rende spesso impraticabile il passaggio generazionale. I fondatori, giustamente, si attendono un ritorno dalla loro exit. Gli studi professionali, per loro natura, non hanno accesso agli stessi strumenti di finanziamento delle imprese tradizionali, e la loro struttura societaria limita le possibilità di acquisizione attraverso investitori esterni.
Nel mondo anglosassone, invece, la formazione manageriale per chi aspira a diventare partner è una prassi consolidata. I grandi studi internazionali prevedono percorsi strutturati di crescita professionale che includono formazione specifica in ambito commerciale, gestionale e strategico. Questo tipo di approccio garantisce che i futuri soci non siano solo eccellenti professionisti tecnici, ma anche leader capaci di far crescere lo studio, attrarre clienti e gestire in modo efficace le dinamiche organizzative e finanziarie. Questa cultura della preparazione manageriale è una delle ragioni per cui gli studi anglosassoni riescono a garantire maggiore continuità e crescita nel tempo.
Esistono tuttavia anche esempi virtuosi in Italia. Gli studi più lungimiranti hanno progressivamente esposto i propri giovani professionisti a responsabilità sempre maggiori, affidando loro progetti strategici di dimensioni crescenti per abituarli alla leadership e alla responsabilità. Questo processo consente di creare una generazione di futuri soci già pronti ad affrontare le sfide della gestione di uno studio professionale, favorendo una transizione graduale e strutturata. Investire nella crescita interna attraverso esperienze concrete di gestione si sta rivelando una strategia vincente per garantire la continuità e il successo dello studio nel lungo periodo.
Una soluzione possibile, ma ancora poco adottata, è la formalizzazione di percorsi di formazione per i futuri partner. Oggi, chi si prepara a diventare socio di uno studio professionale dovrebbe essere adeguatamente addestrato, non solo nelle competenze tecniche, ma anche in quelle gestionali, commerciali e strategiche. Questo significa affiancare alla pratica professionale tradizionale un vero e proprio training manageriale, con l’obiettivo di colmare il gap di competenze che oggi sta mettendo in crisi la continuità degli studi.
All’uopo vi sono strumenti pratici per accelerare questa transizione, che permettono ai giovani professionisti di compiere in tempi brevi il "salto quantico" necessario per diventare leader dello studio. Attraverso percorsi addestrativi pratici mirati, coaching personalizzati e l’affidamento progressivo di responsabilità strategiche, è possibile colmare il gap di competenze manageriali e imprenditoriali. La combinazione di esperienza pratica e formazione mirata consente di trasformare ottimi tecnici in veri e propri imprenditori dello studio professionale, capaci di garantire crescita e continuità alla struttura.
In questo scenario, si delinea una tendenza sempre più marcata: solo strutture già ampie e ben organizzate sembrano in grado di garantire la continuità degli studi professionali. Studi più grandi, con una governance strutturata e risorse finanziarie adeguate, possono proporsi come soci industriali di riferimento, acquisendo le realtà minori che altrimenti rischierebbero di estinguersi con il ritiro dei fondatori. Anche i fondi di investimento stanno scoprendo gli studi e stanno investendo nel settore.
Il passaggio generazionale negli studi professionali italiani non è più una questione rimandabile. Senza un cambio di mentalità e un investimento deciso nella formazione di nuovi leader, molte realtà rischiano di chiudere o di essere assorbite da soggetti più strutturati. La sfida è aperta, e solo chi saprà affrontarla con visione e strategia potrà garantire la continuità del proprio studio nel lungo termine.