Una stretta silenziosa sulla rateazione delle plusvalenze: il reiterato uso della fiscalità come bancomat per reperire il gettito
di Luciano Sorgato
La nuova manovra di bilancio interviene sul comma 4 dell’articolo 86 TUIR, modificandone in senso restrittivo l’ambito applicativo e irrigidendo le condizioni temporali per l’ammissione alla rateazione delle plusvalenze realizzate. Il nuovo testo dispone: “Le plusvalenze realizzate, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate o, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a cinque anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il secondo…”. Si riduce così la durata massima della rateazione a tre esercizi (incluso quello del realizzo), rispetto ai cinque precedenti, e si inasprisce il requisito di accesso, alzando da tre a cinque anni il periodo minimo di possesso dei beni. Una doppia restrizione che, evidentemente, non si giustifica in chiave strutturale ma risponde unicamente alla logica di anticipazione del gettito.
L’antecedente storico della disciplina è l’articolo 54, comma 5, del DPR 597/1973, il quale escludeva le plusvalenze da tassazione a condizione che venissero accantonate in apposito fondo del passivo e reinvestite in beni ammortizzabili entro il secondo periodo d’imposta successivo al realizzo. Il fondo, in sede di reinvestimento, veniva stornato in diminuzione dal costo del bene, incidendo così anche sulla successiva quota di ammortamento.
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Blast - Quotidiano di diritto economia fisco e tecnologia per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.


