Una sfida difficile: gli adeguati assetti fra limiti ed accelerazioni giurisprudenziali
di Simone Mascelloni e Niccolò Pisaneschi
Tra le novità più radicali introdotte dal nuovo codice della crisi d’impresa, gli adeguati assetti del nuovo articolo 2086 c.c. hanno impiegato qualche anno prima di divenire oggetto di analisi sistemica da parte di giuristi ed economisti aziendali. Cosa forse strana se si pensa che si tratta di una previsione che incide sulla carne viva dell’azienda, imponendo all’imprenditore di non focalizzarsi solo sulla qualità dei prodotti o dei servizi offerti e sulla loro distribuzione, ma anche di dotarsi di una struttura organizzativa, amministrativa e contabile effettivamente in linea con la natura e le dimensioni dell’impresa E, soprattutto, adeguata ai vari rischi che essa corre.
L’articolo 2086 c.c. è però norma caratterizzata da connotati tanto elastici da legittimare modelli interpretativi ben diversi. In particolare, si confrontano su di essa due differenti criteri di lettura: da un lato, uno più stringente, nel quale predomina l’aspetto formale relativo alla effettiva dotazione di una struttura aziendale organizzata e di un sistema di deleghe coerente. È ciò che viene definito dalla regola della cd. “Business Judgement Rule”, a norma della quale, in sede di accertamento della responsabilità degli amministratori, il giudice non può sindacare il merito delle sue scelte gestorie. Da un altro lato si trova, invece, un modello interpretativo secondo cui, per valutare il rispetto non solo formale ma effettivamente sostanziale della norma, si dovrebbe ben indagare l’effettiva efficienza delle scelte effettuate in materia. Un modello, dunque, che non stupirebbe un giurista di Common Law, ma che risulta di difficile comprensione a interpreti nazionali abituati a categorie più definite e rigorose sotto il profilo ermeneutico.
Fra le decisioni del primo tipo, alcuni tribunali hanno affermato che, in difetto di segnali di crisi, la nomina di un revisore è indice del corretto adempimento delle previsioni sugli adeguati assetti (Trib. Roma 15 settembre 2020), ovvero che la condotta degli amministratori è sindacabile solo nei ristretti limiti del già citato “Business Judgement Rule” e deve essere giudicata ex ante (Trib. Catanzaro 6 febbraio 2024). Viceversa, fra le decisioni del secondo tipo si rinvengono ipotesi in cui si è ritenuto il difetto di un adeguato assetto in mancanza di un piano industriale strategico, di un sistema di gestione dei crediti commerciali e di un budget di tesoreria (Tribunale di Cagliari 19 gennaio 2022), ovvero che hanno constatato la violazione dell’articolo 2086 c.c. in presenza di un conferimento di deleghe operative ma in mancanza di un piano industriale ben definito (Trib. Catania 8 febbraio 2023). Vi sarebbe, in realtà, anche un terzo orientamento, ancora più restrittivo, secondo cui l’amministratore non sarebbe responsabile neppure in caso di mancata adozione degli adeguati assetti, soprattutto se l’impresa è in bonis (Trib. Bologna 19 maggio 2022 e Corte d’Appello Bologna 18 novembre 2022), ma si tratta di una linea piuttosto circoscritta e alla quale non risulta essere stato dato ulteriore seguito.
Una ultima sentenza del Tribunale di Brescia del 23 ottobre 2024 si inserisce nel filone delle interpretazioni meno invasive, specificamente richiamando i limiti imposti dal “Business Judgement Rule”.
Nel caso di specie trattava di un’azione ex articolo 2409 c.c. con cui alcuni soci denunciavano il difetto degli adeguati assetti a causa della mancanza di un budget previsionale delle vendite e di un piano industriale, di una rete commerciale ragionevolmente organizzata, di un responsabile commerciale, di una pianificazione di preventivi e consuntivi, etc. Il Tribunale, nel rigettare la domanda, si soffermava sul tema della presunta carenza di strumenti previsionali delle vendite, sottolineando come non solo i piani industriali effettivamente esistessero, ma come, soprattutto, una valutazione dell’effettiva funzionalità di quelli predisposti, inerendo alla discrezionalità dell’imprenditore, non potesse essere fatta oggetto di valutazione giudiziale. E ciò anche senza considerare che in tema di adeguati assetti la sindacabilità delle scelte aziendali doveva essere circoscritta alle “strutture e ai sistemi di cosiddetta allerta interna, aventi la funzione di monitorare la continuità aziendale e rilevare tempestivamente eventuali segnali di crisi”.
Nel rigettare la domanda il Tribunale ha quindi segnato un punto in favore di una interpretazione non aggressiva sugli adeguati assetti, effettuando una limitazione del potere di indagine giudiziale più accorta. Vi è, tuttavia, un rischio anche nelle soluzioni apparentemente più equilibrate. Ed è quello che, sollevando lo scudo del “Business Judgement Rule” si finisca per svilire il tema degli adeguati assetti a un ulteriore adempimento burocratico imposto all’imprenditore, invece che uno strumento di riflessione elevata sui modelli di gestione economica aziendale e sui rischi che la contraddistinguono. Con tutti gli effetti da ciò derivanti non solo per la singola impresa ma, soprattutto per il mondo che la circonda.
Da anni ci si è resi conto che le risorse bruciate dalle difficoltà o, addirittura, dallo spegnimento dell’impresa, sono risorse bruciate in un pianeta che non si può più permettere di ricostituirle senza un impatto consistente.
In questo quadro, dunque, domandiamoci cosa ci serva. Una giurisdizione timida e “un passo indietro” rispetto a un imprenditore riottoso ad alzare l’asticella della sua qualità imprenditoriale? Oppure una dottrina aziendale e una giurisprudenza esigente e severa, che spinga anche i più dubbiosi a capire un qualcosa che non può più essere rimandato?
La forza di un sistema economico dipende essenzialmente da questo: che individuata la direzione nella quale è possibile perseguire il bene comune, tutti – dalle imprese ai loro consulenti, dalle banche alla magistratura – remino dalla stessa parte.