Tra danno e corrispettivo: i confini incerti della risposta 215/2025
Di Simona Baseggio e Barbara Marini
Con la risposta n. 215/2025 dello scorso 20 agosto, l’Agenzia delle Entrate ha preso posizione su un caso paradigmatico, che offre l’occasione per una disamina puntuale sulla distinzione tra somme erogate a titolo di risarcimento o penalità, e somme che invece costituiscono, nella sostanza, un’integrazione del corrispettivo originariamente pattuito. La questione nasce nell’ambito di un contratto di appalto, nel quale l’appaltatore, a seguito di reiterate sospensioni nell’esecuzione dell’opera imputabili alla committenza, ha agito giudizialmente per ottenere il ristoro dei maggiori oneri sostenuti. Il giudice, accogliendo parzialmente la domanda, ha condannato il committente al pagamento di una somma, richiamando l’articolo 25 del DM 145/2000, norma che disciplina il risarcimento del danno in caso di sospensioni illegittime. La sentenza ha qualificato la somma come “indennizzo” per danni subiti, facendo espresso riferimento a spese generali, ammortamenti, costi per personale e «ritardato percepimento dell'utile d'impresa». L’appaltatore ha emesso fattura senza applicazione dell’IVA, ritenendo che trattandosi di somma risarcitoria, la stessa fosse “fuori campo” ai sensi dell’articolo 15, co. 1, n. 1), del Dpr 633/1972. L’Agenzia, tuttavia, non condivide questa impostazione e compie un’operazione interpretativa di indubbio interesse, seppur non immune da profili di criticità, ribadendo che, ai fini dell’imponibilità IVA, non è determinante il nomen iuris utilizzato nella sentenza giudiziale, bensì la sostanza economica dell’operazione. La terminologia adottata dal giudice, si legge nella risposta, può infatti essere “atecnica” e non riflettere la reale natura della somma attribuita.
È quindi necessario verificare se tale somma costituisca una misura sanzionatoria, un risarcimento per inadempimento, oppure, al contrario, un’integrazione del corrispettivo nell’ambito di un rapporto sinallagmatico.
Ed è proprio quest’ultima la conclusione cui giunge l’Amministrazione. L’Agenzia valorizza il fatto che l’appalto sia giunto a compimento, con l’effettiva esecuzione dell’opera e il conseguente beneficio per il committente. A fronte dei ritardi subiti, l’appaltatore ha continuato a fornire la propria prestazione, pur sopportando oneri aggiuntivi. Le somme erogate in suo favore, pertanto, si configurano come un corrispettivo supplementare rispetto a quello inizialmente pattuito, determinato ex post per effetto di una decisione giudiziale ma pur sempre correlato alla prestazione contrattuale resa.
Tuttavia, questa ricostruzione non convince pienamente. Il giudice non si è limitato a "battezzare" genericamente una somma come indennizzo, ma ha specificato analiticamente le diverse componenti del ristoro, individuando con precisione chirurgica i capi di danno.
L’Agenzia ribadisce che il presupposto oggettivo di esclusione dal campo IVA può sussistere solo laddove si tratti di risarcimento in senso proprio, non collegato ad una prestazione identificabile e, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (C-277/05 e C-270/09), sostiene che il discrimine tra corrispettivo e risarcimento risiede nella presenza o meno del nesso di reciprocità, ovvero del sinallagma contrattuale: se la somma corrisponde a una prestazione, anche se tardivamente o parzialmente retribuita, essa è imponibile. Solo le penali per inadempimento e gli interessi moratori riconosciuti in assenza di prestazione (ossia per il solo ritardo o danno subito) sono fuori campo.
Confermando la propria posizione su un principio generale sempre sostenuto, e che è certamente condivisibile, l’Agenzia afferma che la realtà economica dell’operazione prevale sull’inquadramento giuridico formale, ed aggiunge che questo vale anche quando quest’ultimo proviene da una sentenza. Si tratta di un principio già affermato in giurisprudenza, ma non sempre valorizzato dalla prassi amministrativa, specie nei casi, come questo, in cui il confine tra corrispettivo e danno appare sfumato.
Ma è proprio qui che l'interpretazione dell'Agenzia mostra le proprie fragilità. Come inquadrare, ad esempio, la voce relativa al "ritardato percepimento dell'utile d'impresa"?
Il giudice non si limita ad utilizzare parole “atecniche” ma inquadra la sostanza del titolo giuridico a fronte del quale è dovuta quella cifra. Tale componente non sembra configurarsi come corrispettivo di alcuna prestazione aggiuntiva, ma piuttosto come un ristoro assimilabile nella sostanza agli interessi moratori che l'articolo 15 comma 1 n.1) del Dpr 633/1972 espressamente esclude dal campo IVA. Al netto dei costi aggiuntivi anch’essi oggetto di ristoro, l'utile d'impresa, infatti, sarebbe maturato comunque – e nei medesimi termini – se l'esecuzione fosse avvenuta nei tempi originariamente previsti. Il ritardo nel suo conseguimento genera un pregiudizio patrimoniale che nulla ha a che vedere con il nesso sinallagmatico invocato dall'Amministrazione.
Analogamente, destano perplessità anche le altre voci risarcitorie riconosciute dal Tribunale. Gli ammortamenti di mezzi e macchinari, le retribuzioni "inutilmente corrisposte" e una parte delle spese generali rappresentano costi aggiuntivi derivanti dal prolungamento temporale dell'esecuzione contrattuale, non già il corrispettivo di prestazioni ulteriori rese al committente. Siamo così sicuri che il ristoro per queste maggiorazioni di costo, che non si traducono in corrispondenti maggiori lavori o utilità per il committente, non rientri nella sostanza nelle previsioni di esclusione dal campo IVA ex articolo 15?
Sotto il profilo operativo, la corretta qualificazione della somma ricevuta assume rilievo cruciale, poiché incide direttamente sull’obbligo di applicazione dell’IVA e, di riflesso, sulla detrazione in capo al committente.
Ma se è certamente pericoloso e a rischio sanzionatorio qualificare erroneamente come risarcitoria una somma che, nella sostanza, remunera l'esecuzione di una prestazione contrattuale, altrettanto rischioso appare l'opposto errore: assoggettare a IVA genuine voci di danno risarcitorio. In questo delicato equilibrio, gli operatori si trovano stretti tra l'interpretazione difficoltosa ma rigorosa della norma e una prassi amministrativa che sembra privilegiare sistematicamente la soluzione più favorevole al Fisco.
E il naufragar “non ci è dolce” in questo mare … di incertezza interpretativa.