Tornare a casa è diventato un lusso? Tra partenze e rinunce, il Natale difficile dei fuori sede
di Sara Bellanza
Caro Babbo Natale, quest’anno non vorrei un regalo: vorrei solo poter tornare a casa. Ma i biglietti di treni e aerei costano troppo, e io non posso permettermeli.
Potrebbero iniziare così le lettere immaginarie di migliaia di studenti e lavoratori che vivono lontano dalla propria famiglia.
Dopo mesi trascorsi tra lezioni, esami, turni e affitti proibitivi, il desiderio di rivedere i propri affetti si scontra con un ostacolo: il prezzo di un viaggio.
Da Nord a Sud, il rito del rientro festivo si trasforma in una sorta di prova di resistenza economica.
In alcune tratte il costo si impenna raggiungendo cifre quasi proibitive per più di qualche cittadino, rendendo il ritorno a casa come una sorta di privilegio.
E così, mentre si preparano le tavole delle feste, si addobbano gli alberi di Natale, tanti “fuori sede” fanno i conti con una realtà meno festosa: un biglietto capace di divorare un’intera tredicesima o quel poco messo da parte.
Tornare a casa per Natale è un lusso?
Dal Sud, si continuano a fare le valigie: studenti, lavoratori, a volte famiglie intere. Tuttavia, ciò che accumuna tante realtà, tante storie e sacrifici è il desiderio di riabbracciare genitori, nonni e fratelli durante le feste. E Natale è proprio dietro l’angolo.
La scena si ripete ogni anno, ma quest’inverno il copione appare più salato che mai. Chi prova a prenotare un volo nazionale con partenza il 24 dicembre e ritorno il 6 gennaio si scontra con tariffe talmente elevate da trasformare il semplice desiderio di tornare al Sud in un lusso quasi irraggiungibile: un paradosso quasi antropologico perché tocca l’idea stessa di casa.
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