Taxi contro NCC: la Consulta ferma il centralismo normativo e riapre la strada alla libertà d'impresa
di Claudio Garau
Da anni il confronto tra tassisti e autisti NCC non è solo una questione di regole, ma di mentalità e privilegi. I primi, infatti, difendono la propria posizione come una sorta di baluardo corporativo, rivendicando un diritto quasi “naturale” a controllare il trasporto urbano. Ma in un mercato della mobilità che cambia, quel senso di superiorità di categoria rischia di trasformarsi in resistenza all’evoluzione e alla concorrenza - e, in ultima analisi, in una violazione del testo fondamentale della Repubblica.
Ora, un recente intervento della Corte Costituzionale - proprio in materia di trasporti e noleggio con conducente - costituisce un passaggio cruciale nel delicato equilibrio tra tutela per chi vuole fare impresa e autonomia regionale. Infatti, con la sentenza n. 163 depositata il 4 novembre scorso, la Consulta ha accolto i conflitti di attribuzione tra enti promossi dalla Regione Calabria e parzialmente annullato il decreto interministeriale n. 226 del 2024 (e le relative circolari attuative), emanato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell’Interno. Il testo è stato redatto allo scopo di disciplinare alcuni aspetti dell’attività di NCC, in aderenza all’articolo 11, comma 4, della legge 21/1992.
Si badi bene: la Corte non si è limitata a un intervento tecnico, perché ha ribadito un principio di sistema. La tutela della concorrenza, affidata allo Stato dall’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, non può trasformarsi in un pretesto per un’ingerenza eccessiva nelle materie di competenza regionale, tra le quali rientra - a pieno titolo - anche il trasporto pubblico locale (ai sensi del quarto e del sesto comma dello stesso articolo).
Perciò non spetta allo Stato adottare atti che fissano obblighi e divieti agli esercenti NCC e che siano tali da perseguire - con mezzi sproporzionati - il fine concorrenziale di garantire che i soli taxi, possano rivolgersi a una utenza indifferenziata. Scavalcando i limiti della competenza statale nella materia “tutela della concorrenza” e regolando l’esercizio del servizio NCC, lo Stato ha invaso una materia di competenza concorrente o residuale delle amministrazioni regionali.
Ebbene, a parere di chi scrive, l’intervento della Consulta è oggi quanto mai opportuno perché sollecita al rispetto delle autonomie locali e favorisce un mercato dei trasporti più equo e dinamico, evitando che la regolazione statale si trasformi in un vincolo rigido, tale da soffocare l’innovazione, penalizzare la flessibilità delle realtà territoriali e ridurre l’offerta e la convenienza per i cittadini.
In particolare, sono tre i punti principali su cui la Corte ha ritenuto che lo Stato abbia ecceduto i propri poteri e inciso direttamente su aspetti sottoposti alla discrezionalità degli enti decisori regionali. Anzitutto, il vincolo di un lasso di tempo minimo tra prenotazione e corsa. Il decreto, infatti, prevedeva che, nei servizi NCC con partenza da luogo diverso dalla rimessa o dalle aree di cui all’articolo 11, comma 6, della legge quadro 21/ 1992 (il cosiddetto Modello B), dovessero intercorrere almeno venti minuti tra prenotazione e inizio del servizio. Una misura che, nelle intenzioni, doveva evitare un uso improprio del servizio NCC in concorrenza diretta con i taxi (a cui non può essere parificato), ma che - di fatto - imponeva agli esercenti un rigido vincolo operativo e privo di base legale nell’appena citato testo normativo, avente a oggetto il trasporto di persone con autoservizi non di linea.
La Corte ha così osservato che un tale intervallo temporale lede la libertà d’impresa, perché si palesa sproporzionato rispetto alla finalità anti-elusiva di evitare che il servizio NCC possa rivolgersi a un’utenza indifferenziata - ossia quella riservata ai soli titolari di licenze taxi. Generando inefficienze gestionali e ambientali, questo vincolo finisce per riprodurre - in modo surrettizio - l’obbligo di rientro in rimessa, già dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 56 del 2020.
Un altro nodo affrontato dalla Consulta è il divieto di contratti di durata con soggetti intermediari. Il decreto dichiarato parzialmente illegittimo aveva, infatti, vietato ai soggetti che svolgono - anche in via indiretta - attività di intermediazione, la stipula di contratti di trasporto con operatori NCC. Ebbene, non vi è dubbio che si tratti di una formulazione tanto ampia da coinvolgere - nel loro complesso - alberghi, agenzie di viaggio e tour operator, ossia soggetti che - per loro funzione caratterizzante - organizzano servizi integrati, a beneficio della clientela. Proprio questa previsione eccede - spiega la Corte - i limiti della tutela della concorrenza, finendo anch’essa per limitare l’autonomia contrattuale degli operatori economici del settore turistico, e - consequenzialmente - la stessa concorrenza, senza una giustificazione calibrata e aderente al dettato costituzionale.
Il terzo punto attiene all’obbligo di utilizzare la sola applicazione informatica ministeriale, previsto dal citato decreto. Agli esercenti NCC veniva, infatti, imposto l’uso non facoltativo, ma esclusivo, dell’app sviluppata dal MIT per la compilazione del foglio di servizio elettronico. Secondo la Corte, una simile previsione vìola sia la libertà di iniziativa economica, sia il principio di neutralità tecnologica, riconosciuto anche a livello europeo (si veda la direttiva UE 2018/1972 e il recente regolamento UE 2024/1689 in materia di intelligenza artificiale). In termini pratici, ciò significa che lo Stato può stabilire standard e controlli, ma non imporre una tecnologia proprietaria quando esistono alternative interoperabili e capaci di garantire la stessa finalità di trasparenza.
L’eccesso di rigidità normativa è un boomerang. Infatti, oltre a travalicare i limiti costituzionali, si trasforma - spiega la Corte - in un tangibilissimo ostacolo alla concorrenza leale, all’innovazione tecnologica e alla capacità delle imprese locali di adattarsi alle mutevoli esigenze del mercato. Ragionando sul piano opposto, va - invece - riaffermato il principio secondo cui le norme statali devono rispettare l’autonomia regionale, senza comprimere ingiustificatamente la volontà individuale di fare impresa e senza favorire indiscriminatamente, come in questo caso, una categoria professionale a discapito di un’altra.
Ecco perché nella sentenza 163/2025 si trova scritto che: “il riferimento alla tutela della concorrenza non può essere così pervasivo da assorbire, aprioristicamente, le materie di competenza regionale (sentenza n. 98 del 2017), sicché l’esercizio della competenza legislativa trasversale in materia, quando interseca titoli di potestà regionale, deve rispettare i limiti dell’adeguatezza e della proporzionalità rispetto al fine perseguito e agli obiettivi attesi (sentenze n. 62 del 2025 e n. 206 del 2024; nello stesso senso, sentenza n. 56 del 2020)”.
Non solo. Il principio di proporzionalità “tanto più deve trovare rigorosa applicazione nel contesto delle relazioni fra Stato e regioni, quanto più la previsione statale comporti una significativa compressione […] dell’autonomia regionale” (sentenza n. 272 del 2015 e, nello stesso senso, sentenze n. 56 del 2020 e n. 206 del 2024), richiedendo di valutare se la norma - tra più misure appropriate - prescriva quella meno restrittiva dei diritti economici a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati o discriminatori, rispetto al perseguimento degli stessi obiettivi.
A parere di chi scrive, si palesa una linea di principio da seguire, a metà tra proporzionalità e leale collaborazione. La Consulta ha riaffermato un concetto cardine: la tutela della concorrenza è una materia “finalistica” e “trasversale” e - proprio per la sua natura - non può e non deve “assorbire” automaticamente le competenze regionali. Una sana cooperazione deve altresì guidare i rapporti tra Stato e Regioni, specialmente in settori - come quello dei trasporti non di linea e della loro modernizzazione - in cui l’equilibrio tra interesse statale e interesse locale è assai delicato.
Questa pronuncia sollecita un mercato più aperto e razionale. Infatti, pur trattandosi di una decisione di contenuto squisitamente tecnico, gli effetti che si dispiegano sono profondamente concreti e immediati. Di fatto, la Corte impone una regolazione più flessibile e concorrenziale del settore NCC, che tenga conto della tutela dell’utenza e delle garanzie di qualità e flessibilità del servizio, del rispetto dell’autonomia degli operatori economici e della possibilità di adottare - senza alcuna restrizione - strumenti tecnologici “aperti”, e non imposti dalle istituzioni centrali.
Se, da un lato, l’articolo 29 del decreto legge 207/2008 ha la finalità di reprimere i rischi di esercizio abusivo del servizio taxi, da parte degli NCC, dall’altro - invece - la pacifica convivenza tra tassisti e autisti NCC non solo è possibile, ma può rappresentare un modello virtuoso di complementarità, a patto che sia regolata in modo trasparente ed equilibrato. E senza “asperità” normative che sfocino in pronunce di illegittimità costituzionale. In ultima analisi, il cittadino-utente è e deve essere il beneficiario finale di un mercato con una pluralità di offerte, nel quale la stessa concorrenza diviene leva di efficienza delle imprese e non pretesto per nuove forme di controllo dall’alto o ingiustificate “barriere all’ingresso” di nuove attività.
A ben vedere, la n. 163 non è di certo la prima sentenza della Consulta, nel campo - oggi “caldissimo” - riguardante la disciplina dei servizi di trasporto con taxi e NCC. Ad esempio, la pronuncia n. 183 dello scorso anno ha stabilito che il requisito della residenza locale, per lavorare, è incostituzionale. Ora, questa nuova decisione ha il pregio di mettere a nudo i difetti di un testo normativo che se, superficialmente, mirava a garantire concorrenza nel settore, di fatto favoriva i tassisti. È l’ennesima prova che la politica dei decreti “lampo” in materia economica si scontra con la Costituzione, quando tenta di sostituire la concorrenza con il controllo.
Insomma, la Carta Costituzionale - lungi dall’essere un testo anacronistico e “fuori moda” - è tuttora illuminante bussola di orientamento nell’era delle nuove tecnologie e dei trasporti a portata di clic. In un’epoca in cui le piattaforme digitali e le tecnologie di mobilità evolvono rapidamente, la tentazione dell’accentramento delle competenze è sempre dietro l’angolo. Ma la Consulta, con la sentenza in oggetto, ci ricorda - invece - che l’innovazione regolatoria non può mai prescindere dal metodo costituzionale: competenze chiare, proporzionalità degli interventi, rispetto di autonomia e libera iniziativa economica privata. Le regioni hanno, o riacquistano, piena titolarità nella disciplina del servizio di noleggio con conducente.
Concludendo, l’apertura al mercato NCC non vuole essere, di certo, una minaccia al servizio taxi - e quest’ultimo deve pur accettare la presenza di “concorrenti” sul mercato - ma, anzi, un banco di prova della capacità delle norme giuridiche di accompagnare l’evoluzione economica, senza rinunciare ai propri principi fondamentali. E, soprattutto, senza sacrificare la libertà di concorrenza e di impresa sull’altare della burocrazia o di scelte dettate da convenienze politiche.


