Supportare le PMI a correre rischi misurati in un contesto ipercomplesso, interconnesso ed iperconnesso: 10 raccomandazioni per evolvere e prosperare
di Andrea Tordini
Assumere rischi è parte integrante dell’agire imprenditoriale. Lo è sempre stato. Senza rischio non c’è innovazione, non c’è cambiamento né crescita. Le figure più illuminate del panorama industriale italiano del Novecento lo avevano compreso bene. Adriano Olivetti, con la sua visione etica dell’impresa, si interrogava sul senso profondo del fare industria, oltre i numeri del profitto. Enrico Mattei, artefice della rinascita energetica del Paese, spingeva a rompere gli schemi, a “giocare d’anticipo” su scenari nuovi e incerti.
Il loro insegnamento è oggi più attuale che mai. Viviamo un’epoca in cui l’incertezza non è un’eccezione, ma la regola: instabilità geopolitica, pressione regolatoria, digitalizzazione accelerata, transizione ecologica e nuove aspettative sociali impongono a tutte le imprese – senza distinzione di settore o dimensione – di sviluppare capacità di lettura critica del contesto e di gestione consapevole del rischio.
Non si tratta di farsi dominare dalla prudenza né, all’opposto, di abbracciare l’azzardo. Si tratta, piuttosto, di adottare un approccio strategico e strutturato, che permetta di correre rischi misurati. In altre parole: decidere di esporsi, sì, ma con consapevolezza, metodo e responsabilità.
Per le PMI italiane – che rappresentano il 99,4 per cento del tessuto imprenditoriale nazionale e il 66 per cento dell’occupazione complessiva (dati Istat 2023) – questa sfida è particolarmente rilevante. La loro forza sta nell’agilità, nella vicinanza al territorio, nel radicamento valoriale. Ma proprio queste caratteristiche, se non sostenute da strumenti adeguati, possono trasformarsi in vulnerabilità nell’ambito di un contesto ipercomplesso, interconnesso ed iperconnesso.
Molte di queste imprese si affidano ancora a decisioni basate su intuito, esperienza o relazioni personali. Questo approccio, che in passato è stato in molti casi premiante, oggi non è più sufficiente. I nuovi scenari richiedono di integrare queste competenze con sistemi più analitici, capaci di fornire una visione d’insieme, di anticipare eventi, di pianificare risposte e – soprattutto – di trasformare il rischio in opportunità.
Ma come fare, concretamente, per strutturare un sistema di gestione dei rischi che sia proporzionato, efficace e sostenibile anche per realtà di piccole o medie dimensioni?
Serve costruire un sistema “su misura”, coerente con il proprio contesto e capace di accompagnare l’impresa nel tempo, passo dopo passo.
Da qui nasce la proposta di 10 raccomandazioni, pensate per guidare imprenditori, manager e consulenti in un percorso pratico di consapevolezza e azione. Non si parla di teoria, ma di leve concrete e testate per migliorare le decisioni quotidiane, rafforzare la resilienza, costruire fiducia verso clienti, banche, investitori e stakeholder.
1. Partire dalla conoscenza profonda dell’organizzazione
Condurre un’analisi strutturata della mission, della visione, della catena del valore e delle risorse disponibili è il primo passo. Solo con una chiara comprensione del modello di business è possibile identificare le aree di vulnerabilità e opportunità. In linea con gli standard ISO 9001 e 31000, è cruciale l’analisi del contesto interno ed esterno.
2. Coinvolgere la direzione aziendale e le figure chiave
La cultura del rischio inizia dall’alto. Secondo il COSO ERM Framework, il ruolo della governance è centrale nel definire il livello di “rischio tollerabile” e nel promuovere un approccio integrato. Senza l’impegno del vertice e il coinvolgimento delle figure chiave, ogni sistema di gestione è destinato a fallire.
3. Adottare una classificazione multidimensionale dei rischi
È fondamentale superare l’approccio monodimensionale di classificare i rischi. Occorre considerare le varie dimensioni dei rischi: reputazionale, ESG, legale, operativa, tecnologica e strategica.
4. Definire criteri di valutazione chiari e calibrati
L’adozione di metriche qualitative e quantitative, adattate alla dimensione aziendale e condivise con il management, consente una valutazione più oggettiva e comparabile. La best practice suggerisce l’utilizzo di scale standardizzate a 5 livelli per impatto e probabilità. Privilegiare sempre metodi il più possibile scientifici.
5. Supportare la valutazione con dati oggettivi ed evidenze
La qualità della valutazione dei rischi cresce con la disponibilità ed utilizzo di dati storici, benchmark settoriali e casi studio. Il ruolo del risk manager o del consulente non è solo tecnico, ma anche relazionale: capacità di ascolto attivo, empatia e pensiero critico sono fondamentali per facilitare il dialogo interno.
6. Formalizzare il processo di valutazione
Documentare il processo consente tracciabilità, accountability e miglioramento continuo. È consigliabile utilizzare strumenti digitali (es. risk register, dashboard) che rendano il sistema facilmente aggiornabile e accessibile, in linea con i principi della ISO 37301.
7. Sperimentare prima di iniziare
Applicare un approccio pilota consente di testare la metodologia in maniera “controllata”. Coinvolgere un gruppo ristretto di stakeholder facilita il buy-in interno e consente di correggere eventuali criticità prima della piena implementazione.
8. Prevedere una revisione periodica
Il contesto è dinamico: i rischi evolvono, mutano rapidamente. È buona prassi prevedere una revisione almeno semestrale del risk register e degli scenari di rischio. L’adozione di un ciclo PDCA (Plan-Do-Check-Act) assicura un miglioramento continuo.
9. Creare un archivio strutturato e accessibile
Un sistema documentale ben organizzato facilita la gestione del rischio nel tempo e ne rafforza la dimensione culturale. Il rischio non è solo prevenzione, ma anche memoria organizzativa e apprendimento. L’integrazione con i sistemi di gestione esistenti (es. qualità, ambiente, salute) è un acceleratore.
10. Costruire un sistema “su misura” per l’impresa
Ogni impresa ha una propria identità, cultura, dimensione e settore di riferimento. Un sistema di risk management efficace è “tailor made”: valorizza le specificità aziendali e ne rispetta i limiti operativi. La personalizzazione non è un lusso, ma una condizione di efficacia.
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Che lo si accetti o no, gestire i rischi (e perché no le opportunità) non è un onere, ma una leva strategica. Anche la più piccola impresa può – leggasi dovrebbe – dotarsi di un approccio consapevole, proporzionato e coerente con il proprio contesto. Chi lo saprà fare meglio sarà più pronto ad affrontare le crisi, proteggere il proprio valore e cogliere le opportunità con lucidità, responsabilità e visione.