Il “suolo” rappresenta una risorsa (ahimè) non rinnovabile.
Questo concetto viene ampiamente spiegato e chiarito nel libro di Paolo Pileri “L’intelligenza del suolo”. Professore ordinario al Politecnico di Milano, l’autore si occupa di temi legati al “suolo” e di come approcciarsi a questo importante ecosistema invisibile.
Va da sé che lo stesso termine tocchi, in maniera considerevole, sia l’urbanistica che l’economia, nonché la geografia fisica.
In ambito di legge, il diritto di superficie garantisce al titolare la possibilità di disporre del “suolo”, mentre il diritto del “suolo” (ius soli) spetterebbe ai nati in un determinato territorio.
La parola “suolo”, dal latino sŏlum, il cui significato immediato si ricollega alla superficie su cui si poggia e si procede, entra in altri diversi settori quali l’aerodinamica, in riferimento “all’effetto suolo”, ma anche in ambiti come la sociologia urbana e rurale.
In psicologia, se a livello ambientale l’esposizione ripetuta e prolungata ad agenti inquinanti può contribuire allo sviluppo di disturbi psicologici e comportamentali quali stress, ansia e depressione; terapie che aiutano a riconnettersi alla terra, come il “grounding”, dovrebbero consentire una migliore gestione di queste condizioni di disagio. Invero, tecniche bioenergetiche che insegnano a sentirsi radicati, “ancorati al suolo”, riporterebbero la persona a contatto con la realtà del proprio corpo, permettendole di stabilire un miglior legame con il “suolo” che ci sostiene.
Se, quindi, la connessione tra individuo e “suolo” rappresenta ulteriormente una connessione energetica, va peraltro precisato che la reale definizione di questo prezioso elemento non si ferma alla mera superficie, ma incorpora anche una considerevole parte di ciò che si trova al di sotto di essa.
In tal senso, una striscia di asfalto o cemento uccide, per sempre e irreparabilmente, il “suolo” sottostante. Sfortunatamente, non basterebbe rimuovere l’asfalto, sostituendolo nuovamente con della terra, per ricreare quel mondo di sorprendente laboriosità, dato che sarebbero necessarie molte centinaia di anni per riformarne solo alcuni centimetri.
Tornando infatti al testo di Pileri, il “suolo” viene descritto come uno spessore in cui il potenziale di vita maggiore è rappresentato dai primi 30-70 centimetri, appunto, di spessore. Questo complesso ambiente, ricco di biodiversità, è capace di generare vaste interconnessioni fra la varietà di milioni di specie che lo abitano e gli impianti radicali di altrettante specie vegetali di cui noi vediamo solo la parte esterna. Inoltre, il “suolo” trattiene una preziosa riserva d’acqua, che intelligentemente ridistribuisce, per poter sostenere la vegetazione dell’intero pianeta.
Esso ha altresì un ruolo insostituibile nella mitigazione climatica. Da solo, assorbe e custodisce il 70 per cento del carbonio del pianeta (la vegetazione il restante 30 per cento) e facendogli da trappola per migliaia di anni, ne impedisce il rilascio in atmosfera, ad esempio sotto forma di anidride carbonica che è il principale gas serra.
Forse, chiedersi dove si libera il carbonio in caso di abuso e distruzione del “suolo”, dovrebbe essere una domanda che sorge spontanea.
Spesso, quest’ultimo viene abitualmente devastato, sacrificando le poche aree verdi per fare spazio, ad esempio, a centri commerciali di cui sembrerebbe ci sia una continua necessità. I fautori di queste “grandi opere” propongono la loro visione di “green” attraverso qualche zona verde sulle terrazze dei condomini o la limitazione del traffico urbano. Ma se (per citare Pileri) un albero in vaso è come un uccellino in gabbia, forse la strategia più intelligente dovrebbe essere quella di salvaguardare il “suolo” e tutto il suo ecosistema.
L’auspicio di una maggiore consapevolezza in relazione al “nostro suolo” avrebbe la funzione di chiarire cosa significhi effettivamente “green” e quale potrebbe essere il ruolo umano, presente e futuro, nel preservare l’ambiente dai danni irreparabili causati dal consumo di questa insostituibile risorsa.