Stablecoin, valute digitali delle banche centrali e il nuovo signoraggio: chi stampa la moneta digitale?
di Alberto Ferrari
Era l’aprile 2022 quando Do Kwon, fondatore dell’ecosistema Terra e della stablecoin algoritmica UST, dichiarava che il 95 per cento dei progetti crypto erano destinati a fallire – e che “trovare divertente” assistere a quei fallimenti era tutto sommato umano.
Il 9 maggio 2022 (un mese dopo), UST perse il suo ancoraggio al dollaro in seguito a un attacco speculativo coordinato che mise sotto pressione il meccanismo di stabilizzazione. Gli utenti, nell'intento di sfruttare il meccanismo di arbitraggio previsto dal protocollo, iniziarono a convertire massicciamente UST in LUNA. Il sistema, in risposta, cominciò a creare nuove unità di LUNA a ritmo vertiginoso. Il valore di LUNA si diluì rapidamente, il meccanismo andò in crisi e l’intero ecosistema collassò. In pochi giorni, miliardi di dollari andarono in fumo e Terra entrò nella storia come uno dei peggiori disastri del settore crypto. Prima del crollo, UST era la quarta stablecoin per capitalizzazione di mercato.
Quello che doveva essere un esempio virtuoso di stablecoin algoritmica si rivelò estremamente fragile. E così, il caso UST-LUNA ha avuto almeno il merito di riportare al centro una domanda fondamentale: cosa rende davvero “stabile” una stablecoin?
Il termine stablecoin indica una categoria di asset digitali progettati per mantenere un valore stabile nel tempo, solitamente ancorato a una valuta fiat come il dollaro statunitense. Ma dietro questa apparente semplicità si nascondono architetture profondamente diverse.
Le stablecoin algoritmiche, come UST, cercano di mantenere la stabilità attraverso meccanismi automatici basati su smart contract e incentivi di mercato. Non hanno riserve esterne, ma si affidano a strutture economiche codificate e a collaterali in crypto-asset. Come abbiamo visto, questo approccio può fallire rapidamente se la fiducia nel sistema si incrina anche se aderisce pienamente all’idea di disintermediazione al cuore della stessa blockchain.
Dall’altra parte, le stablecoin più diffuse – come Tether (USDT) o USD Coin (USDC) – seguono un modello radicalmente diverso. Questi token sono garantiti da riserve reali: dollari, titoli di stato o strumenti finanziari a basso rischio detenuti presso istituzioni finanziarie centralizzate. Per ogni USDT emesso, c’è (almeno in teoria) un dollaro equivalente depositato da qualche parte nel mondo reale.
La generazione di USDT non avviene on-chain, ma su richiesta: un soggetto autorizzato (es. un exchange) invia dollari veri a Tether Ltd., che emette, tramite smart-contract, la corrispondente quantità di token USDT in una delle blockchain supportate (come Ethereum) e la invia al wallet del richiedente. L'operazione è tracciabile on-chain, ma il legame col deposito fiat è off-chain, cioè avviene fuori dalla blockchain, e richiede un alto livello di fiducia nell’emittente.
Il modello garantito da riserve introduce una forma di centralizzazione che è, in parte, in contrasto con l’ideologia originaria della blockchain.
Tuttavia, proprio questa architettura ibrida – tra trasparenza on-chain e controllo off-chain – ha spianato la strada al dibattito sulle valute digitali della banca centrale, le cosiddette CBDC. In altre parole, sono state proprio le stablecoin ad aprire la porta alle banche centrali, dimostrando che un dollaro digitale (o un euro) può esistere ed essere utilizzato in rete, mantenendo valore, velocità e programmabilità.
Ma se le stablecoin rappresentano una forma di innovazione, pongono anche una questione cruciale: chi detiene il diritto di creare moneta digitale? Le aziende private che emettono stablecoin – Tether (13,7 miliardi di dollari di utile nel 2024), Circle, PayPal – di fatto esercitano una forma di signoraggio: generano token che rappresentano valuta fiat, raccolgono riserve, e ricavano interessi o commissioni. Sarebbe dunque fondamentale esercitare un controllo trasparente e regolamentato su queste entità, per evitare che la gestione della moneta digitale sfugga agli Stati e diventi strumento di privati.
Negli Stati Uniti, questo tema ha assunto una dimensione profondamente politica. A settembre 2024, Donald Trump ha fondato la “Trump Media & Technology Group Payments”, annunciando l’intenzione di emettere una sua stablecoin denominata “USD One”. Pochi mesi dopo, nel febbraio 2025, ha firmato l’ordine esecutivo n. 14178 dal titolo “Strengthening American Leadership in Digital Financial Technology”, bloccando di fatto qualsiasi progetto della Federal Reserve sul dollaro digitale.
Nella narrativa del presidente, le CBDC rappresentano una minaccia per la stabilità del sistema finanziario e per la privacy dei cittadini. Un rischio di sorveglianza e controllo di massa, a suo dire, inaccettabile. Ma è interessante osservare come se da un lato si impedisce alla Fed di creare un dollaro digitale pubblico, dall’altro Trump propone la sua alternativa privata, di cui sarebbe, contemporaneamente, emittente e controllore.
E qui si apre un paradosso: da un lato, l’utilizzo di stablecoin viene visto come una conquista di libertà, nell’ottica decentralizzata della blockchain, perché consente il trasferimento di valore senza l’intermediazione di soggetti centrali. Ma quanto è reale questa libertà, se il valore trasferito è espresso prevalentemente in dollari e controllato da emittenti privati?
In Europa, invece, la prospettiva è diametralmente opposta. La Banca Centrale Europea sta spingendo con decisione sul progetto dell’euro digitale (come deadline si è posta ottobre 2025), proprio perché consapevole della fortissima dipendenza europea dai circuiti di pagamento americani: Visa, Mastercard, PayPal (che nel frattempo ha lanciato la sua stablecoin PYUSD). In uno scenario in cui le stablecoin – oggi prevalentemente denominate in dollari e prive di una reale diffusione di equivalenti ancorate all’euro – diventassero strumenti di pagamento diffusi quanto le carte di credito, l’Europa rischierebbe non solo di perdere la propria unità di conto, ma anche di affidare l’infrastruttura dei pagamenti a soggetti esterni, totalmente fuori dal perimetro dell’euro.
Ecco perché, per l’Unione Europea, la CBDC non è un progetto sperimentale: è una scelta di sovranità.