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Economia

Sport e tutela dei minori: modelli europei a confronto

di Andrea Tordini

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set 17, 2025
∙ A pagamento
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Negli ultimi anni, la tutela del benessere dei giovani atleti, è un tema che ha assunto sempre più rilevanza, sia per l’elevata esposizione a potenziali abusi e sfruttamenti, sia per la crescente attenzione di istituzioni internazionali come l’ONU, il Consiglio d’Europa e la Commissione Europea. In continuità con l’evoluzione di questo scenario, le società sportive, sulla scorta di quanto previsto dalla recente Riforma dello Sport, sono state chiamate ad adottare modelli di organizzazione, gestione e controllo strutturati ed idonei non solo di prevenire situazioni di rischio, ma anche di promuovere ambienti sani, inclusivi e rispettosi dei diritti dei minori.

In questo contesto, il confronto tra il modello inglese – da tempo all’avanguardia nel “Safeguarding” – e quello italiano – in fase di evoluzione anche grazie alla recente introduzione dell’articolo 36 del D.Lgs. 36/2021 (Riforma dello Sport) – offre spunti utili per comprendere lo stato dell’arte e le prospettive future della tutela dei minori.

Il modello inglese: un sistema maturo e istituzionalizzato

Il Regno Unito è considerato pioniere nel campo della protezione dei minori nello sport. Il concetto di Safeguarding, ovvero protezione – in tutte le sue forme - dei bambini e dei giovani da ogni forma di abuso, negligenza, sfruttamento e violenza, è ben radicato sia nel sistema legislativo che in quello sportivo. Dal 2000 in poi, diversi scandali legati ad abusi sessuali nello sport hanno spinto le istituzioni britanniche a rafforzare la normativa e le strutture di controllo.

Da oltre un ventennio, la Football Association (FA) ha istituito un sistema di Safeguarding policies vincolanti per tutti i club calcistici, ad ogni livello, dai professionisti ai dilettanti. In particolare, è prevista la presenza obbligatoria di un Designated Safeguarding Officer (DSO) in ciascun club, con compiti specifici:

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