Spilli tributari - Il recupero dello 0,01 per cento di imposta (non) evasa combatte l’evasione fiscale e rispetta i principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa?
di Chiara Forino
“Io ho ragione e loro non sanno leggere i dati. Ho pagato 100mila euro di imposte e mi contestano un pugno di euro, che posso dimostrare di aver pagato. Mi costa però di più spiegargli come fare il loro lavoro che pagare quanto, erroneamente, mi contestano”.
Questa è l’amara conclusione cui è giunto, dopo aver ricevuto un “accertamento automatizzato 36-bis” (Dpr 600/1973), un rigorosissimo ed onesto contribuente che, pur avendo pagato tutte le imposte fino all’ultimo centesimo, a fronte della risposta negativa al Civis che aveva trasmesso per aiutare l’Agenzia delle entrate e correggere l’errata contestazione, si è rassegnato a riversare alcune decine di euro piuttosto che far valere le sue ragioni tramite istanza di autotutela. Questo perché ha ritenuto più prezioso il suo tempo e per il timore (rectius, la certezza) che questa contestazione sarebbe stata reiterata negli anni successivi, sebbene infondata.
Ora, andando oltre l’emblematico episodio, frutto di un insieme di malfunzionamenti dell’Amministrazione finanziaria che azzoppano la fiducia del contribuente onesto, non è possibile non ragionare su come questo tipo di azioni mini alla base la fiducia che, faticosamente, l’Agenzia delle entrate dichiara di voler costruire con i contribuenti virtuosi e, conti alla mano, violi palesemente i principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.
Partiamo da questi ultimi. Secondo il diritto amministrativo, il primo riguarda l’obbligo posto in capo alle Pubblica Amministrazione di utilizzare in modo diligente le proprie risorse. Contestare un’imposta non evasa è diligente? In altre parole, la persona incaricata di lavorare quella lista di irregolarità rilevate dall’incrocio automatico dei dati dai sistemi informatici a disposizione ha effettuato tutti i controlli per evitare di emettere un atto errato? Alla prova dei fatti si direbbe di no.
Andiamo oltre: l’efficacia esprime l’idoneità dell’atto a soddisfare l’interesse perseguito dalla pubblica amministrazione. Nello statuto dell’Agenzia delle entrate l’articolo 2 stabilisce che l’Agenzia “svolge tutte le funzioni e i compiti ad essa attribuiti dalla legge in materia di entrate tributarie e diritti erariali […] A tal fine assicura e sviluppa l’assistenza ai contribuenti e agli utenti, il miglioramento delle relazioni con i cittadini e i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale, al fine di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali”. Su questi presupposti, commettere un errore e non essere in grado di ammetterlo è un atteggiamento efficace rispetto all’obiettivo di migliorare la relazione con il contribuente? Nonostante l’incasso ottenuto, ancora una volta la risposta sembrerebbe negativa.
Infine, l’efficienza misura il rapporto tra le risorse impiegate ed i risultati ottenuti. Usciamo dal campo del diritto per fare i conti in tasca all’amministrazione. Una comunicazione di irregolarità a seguito di controllo automatizzato ai sensi dell’articolo 36 bis del Dpr 600/1973, per quanto automatizzata, richiede comunque una lavorazione umana. Le liste vengono trasmesse agli uffici di competenza, assegnate al singolo funzionario che, sulla base di quanto emerso dall’incrocio dei dati dichiarati dal contribuente, verifica la fondatezza delle incongruenze rilevate dal sistema e, nel caso non riesca a risolvere internamente l’incongruenza, procede a notificare la contestazione al contribuente, previa autorizzazione del suo responsabile, in quanto raramente i singoli funzionari hanno una delega di firma. Consideriamo un’ora di lavoro effettivo del funzionario e azzeriamo, per semplicità, il tempo del responsabile, al costo lordo per lo Stato di 40 euro, già metà dell’incasso si è volatilizzato. La lavorazione del Civis, tra protocollo, assegnazione, lavorazione e risposta avrà ragionevolmente impiegato diversi soggetti per un’altra ora complessiva. La seconda metà di quanto incassato è quindi servita a coprire i costi vivi del recupero. Se poi il contribuente avesse voluto, per una questione di principio, investire il suo tempo in un’istanza di autotutela, anche questa pratica avrebbe richiesto una propria lavorazione e, probabilmente, comportato ulteriori costi per l’Amministrazione a fronte di un incasso pari a zero. Se ad operare in questo modo fosse un’azienda privata, probabilmente i bilanci di fine anno non sarebbero in attivo.
Al netto di tutte queste considerazioni, torniamo al problema di fondo: il contribuente che ha operato correttamente non solo è stato trattato da evasore per un importo irrisorio rispetto a quanto versato, ma non è stato ascoltato nel merito né ha ottenuto “giustizia” quando ha fatto presente all’Ufficio l’errore commesso. Non è rilevante, a livello relazionale, che l’errore sia stato generato dall’incapacità del sistema di gestire banche dati non progettate per dialogare, dall’errore umano o dall’incidentale competenza del singolo funzionario. L’effetto è negativo e, per tradurlo in una frase ad effetto, “fa venir voglia di evadere”. Quando accadono questi episodi, per quando non materiali, l’effetto è dirompente e scarica sulla coscienza ed etica individuale l’onere (percepito come ancor più gravoso) di rispettare gli obblighi tributari nonostante l’ingiustizia subita.
Un ultimo aspetto, che raramente viene preso in considerazione, è quello motivazionale dei funzionari che si trovano a lavorare questi importi. Lavorare queste liste, per importi in genere irrisori, è alienante e frustrante ed espone i funzionari non solo al malcontento dell’utenza, ma anche a un deterioramento di quello che, nel privato, viene definito “engagement”, ovvero il coinvolgimento e l’impegno che il singolo profonde nell’attività lavorativa. Livello che, afflitto da problemi storici quali la bassa retribuzione, l’anzianità media e il turn-over bloccato, è già particolarmente basso rispetto alla media europea.
A valle di tutte queste considerazioni, quanto costeranno, davvero, quelle poche decine di euro ingiustamente incassate? Posso garantire che il contribuente che li ha versati continuerà a pagare quanto dovuto, sebbene a denti più stretti, ma le comunicazioni “sbagliate” che a vario titolo vengono comunicate a cittadini e imprese sono un costo diretto e indiretto, che lo Stato non si può più permettere di ignorare, se vuole essere coerente con il cambio di rotta introdotto 10 anni fa sul rapporto tra Fisco e contribuente, non più basato solo sul controllo, ma sulla collaborazione, la trasparenza e la reciproca fiducia.
Ovviamente è un cambiamento complesso, che richiede tempo, ma che non può essere posto in essere solo a parole o solo in alcuni settori, né, tantomeno, prescindere dalle problematiche organizzative, comunicative e formative che ne sabotano quotidianamente l’implementazione.


