Spilli tributari - Il fisco italiano e la sanzione amministrativa: anatomia di un paradosso proporzionalmente sproporzionato
di Piero Sanna Randaccio
Ci sono dogmi che resistono ai secoli, ai papi e persino ai trattati europei. Nel diritto tributario italiano, uno di questi è il dogma della sanzione, soprattutto quella sanzione amministrativa del 30 per cento - oggi 25 per cento - che si abbatte sul contribuente come una mannaia rituale anche quando l’Erario, poverino, non ha subito alcun danno.
È la versione fiscale del “non importa se sei innocente, paga lo stesso, perché la legge lo dice”.
Puoi anche non aver arrecato alcun danno all’Erario, magari hai versato tutto, anche con zelo, ma ti è sfuggita un’opzione o hai osato pagare in ritardo, il Fisco ti colpirà con la precisione di un metronomo.
Una tassa sull’imperfezione, un’imposta sull’errore, una liturgia più che una norma, è la perpetuazione della pena per il gusto dell’ordine.
E mentre l’Unione Europea, con voce ferma e principi scolpiti nella Carta di Nizza, impone che le pene e le sanzioni siano proporzionate all’offesa effettiva (articolo 49, par. 3), in Italia il principio di proporzionalità sembra un vezzo letterario, un optional giuridico da citare nei convegni ma da dimenticare assolutamente negli avvisi di accertamento.
“Eppur si muove”… La Corte di Giustizia Tributaria della Lombardia con la sentenza 3 febbraio 2025, n. 392, ha recentemente annullato una sanzione del 45 per cento, inflitta per la decadenza da una rateazione, poiché “nessun danno erariale era stato arrecato e il contribuente aveva agito in buona fede”. La Corte ha invocato il principio di proporzionalità, ricordando che non si punisce un comportamento non offensivo solo perché un algoritmo normativo lo impone. Eppure, l’Agenzia aveva replicato di aver applicato “scrupolosamente e fedelmente la norma” anche quando la ragione chiedeva clemenza ed ecco il punto: in Italia la fedeltà alla norma vale più della fedeltà alla ragione e qui si compie l’infausta antinomia che differenzia un giudice che interpreta e un burocrate che timbra. È qui che l’ironia diventa dramma.
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