SPILLI PREVIDENZIALI - La pensione cambierà. Ma tranquilli: c’è la previdenza complementare
di Gabriele Silva
Con un emendamento alla Legge di Bilancio 2026, il legislatore ha deciso di “stimolare” il conferimento del TFR alla previdenza complementare.
Non con un obbligo. Sarebbe stato troppo esplicito.
Ma con un sistema di default, di automatismi, di silenzi che valgono come consenso.
È una scelta presentata come moderna, responsabile, quasi educativa.
E infatti nessuno si scandalizza.
Ma forse è proprio qui che vale la pena fermarsi un attimo.
E porsi una domanda semplice, quasi ingenua: perché questa urgenza?
Una spinta gentile, ma decisa
Il messaggio ufficiale è rassicurante: la previdenza complementare serve a integrare le pensioni future, a tutelare i giovani, a costruire un secondo pilastro solido.
Tutto vero.
Tutto condivisibile.
Il punto non è cosa si dice.
È quando lo si dice e come.
Perché, quando lo Stato sente il bisogno di preparare la soluzione prima che il problema diventi evidente, di solito significa che il problema è già scritto.
Il dettaglio che non è un dettaglio
C’è un aspetto che raramente viene spiegato con chiarezza.
Il TFR, così come lo abbiamo conosciuto per decenni, è capitale.
Alla fine del rapporto di lavoro – o al pensionamento – torna indietro per intero, in un’unica soluzione.
Quando invece confluisce nella previdenza complementare, cambia natura.
Non è più un capitale da restituire.
Diventa una prestazione previdenziale.
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Blast - Quotidiano di diritto economia fisco e tecnologia per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.


