SPILLI EREDITARI - Eredità e governance familiare, quando il diritto societario diventa arte
di Piero Sanna Randaccio
Esiste un luogo, nell’economia italiana, dove patrimoni, orgogli sopiti, faide decennali e amori mai del tutto ricuciti si ritrovano a convivere come animali selvatici chiusi in una stessa gabbia. Un luogo in cui il diritto diventa terapia intensiva e lo statuto societario l’ultimo argine prima dell’esondazione delle emozioni familiari. Quel luogo – magnifico e pericoloso – è l’impresa familiare.
Da generazioni si ripete il mantra che “la famiglia è la forza dell’azienda”. Ed è vero. Ma lo è altrettanto che, in assenza di uno statuto scritto con mano ferma e visione chirurgica, la famiglia può diventare anche la sua criptonite. Perché lo statuto, quell’oggetto che molti credono di poter copiare e incollare da un vecchio file trovato in qualche cartella polverosa, è in realtà la carta costituzionale degli equilibri domestici, la geometrica architettura che determina chi comanda, chi subisce, chi eredita, chi sopravvive e – soprattutto – chi distruggerà tutto quando arriverà il momento.
Per questo ogni professionista serio sa che la pianificazione societaria non è un gioco di tecnicismi: è antropologia applicata, psicologia clinica, ingegneria istituzionale e qualche volta anche esorcismo. Comprendere, modellare e domare questo strumento è un’arte antica, un mestiere per spiriti pazienti e per professionisti che abbiano la tempra di chi entra in guerra sapendo che uscirà vivo solo grazie al codice civile e a qualche clausola ben piazzata.
Le società di persone, Snc e Sas, sono l’archetipo dell’impresa familiare “antica”: sincere, trasparenti, vulnerabili. Qui il passaggio generazionale non è una questione astratta da rinviare a un futuro indefinito. No, qui se muore un socio, la musica si interrompe all’istante. Come quando, durante una festa, qualcuno spegne improvvisamente le luci: tutti rimangono immobili, nessuno sa cosa succederà.
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