Spenti a casa, spensierati in ufficio: perché ignoriamo la sostenibilità sul posto di lavoro?
di Diego Zonta
Quante volte, uscendo da una stanza vuota a casa, spegniamo meticolosamente la luce? Con quanta cura separiamo i rifiuti per la raccolta differenziata o ci assicuriamo di lasciare la cucina pulita dopo averla usata? E quante volte, invece, replichiamo le stesse attenzioni sul posto di lavoro? L’ultimo che esce dalla sala riunioni lascia quasi sempre le luci accese; la carta finisce nel cestino dell’indifferenziato per pigra comodità; la tazzina del caffè resta nel lavandino, in attesa di un volenteroso collega. In ufficio, le buone abitudini ecologiche che adottiamo tra le mura domestiche sembrano svanire, lasciando spazio a una inspiegabile noncuranza. Ma cosa si cela dietro questo doppio standard comportamentale? Le ragioni affondano le loro radici in una complessa interazione di fattori psicologici, economici e sociali.
La psicologia dello spazio condiviso: di chi è la responsabilità?
Uno dei principali meccanismi psicologici in gioco è la diffusione di responsabilità. A casa, la responsabilità di una bolletta più salata o di un ambiente disordinato ricade direttamente e in modo inequivocabile su di noi o sul nostro nucleo familiare. In un ufficio con decine o centinaia di dipendenti, questa responsabilità si diluisce fino a diventare impalpabile. Il pensiero “perché dovrei farlo io, se non lo fa nessun altro?” o “una luce accesa in più non farà la differenza sul totale” diventa un alibi comodo e auto-assolutorio. Questo fenomeno è una manifestazione della cosiddetta “tragedia dei beni comuni”: una risorsa condivisa (l’energia, la pulizia, l’ordine) viene sfruttata eccessivamente dai singoli individui che, agendo nel proprio interesse immediato, ne causano il deterioramento a discapito dell’intera comunità. L’ufficio, in questo senso, diventa un “bene comune” di cui nessuno si sente pienamente responsabile.
A questo si aggiunge la mancanza di un senso di proprietà psicologica. La nostra casa è un’estensione di noi stessi, uno spazio che curiamo e in cui investiamo emotivamente ed economicamente. L’ambiente di lavoro, al contrario, è spesso percepito come uno spazio “altro”, funzionale ma estraneo, di proprietà dell’azienda. Questa distanza emotiva riduce la motivazione a prendersene cura con la stessa dedizione. Infine, non va sottovalutato il sovraccarico cognitivo: sul lavoro, la nostra attenzione è primariamente focalizzata sul raggiungimento di obiettivi e scadenze. Risparmiare energia o riciclare correttamente vengono percepite come attività secondarie, un “di più” che richiede uno sforzo mentale aggiuntivo in un contesto dove le energie mentali sono già quasi del tutto assorbite dai compiti principali.
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