Soci-dipendenti, dal contratto all'azionariato: è il futuro della governance aziendale?
di Claudio Garau
Di certo non un ossimoro, ma un virtuoso e ambizioso binomio che in sé contiene il seme per generare benefici al mondo dell'impresa, grazie a un auspicabile miglioramento dell'engagement e della motivazione del personale. Del binomio soci-dipendenti o azionisti-dipendenti, e, quindi, della partecipazione al capitale dell'impresa da parte di chi è al suo interno è stato assunto, si discute – in modo ricorrente - negli ambienti dei sindacati e nei dibattiti politici e accademici, mentre negli ambienti corporate il modello azionistico, per coinvolgere i dipendenti e incentivare la produttività, è già utilizzato da tempo. Basti pensare, ad esempio, ai programmi di partecipazione azionaria, come le stock option o i piani di azionariato diffuso.
In particolare, l'ingresso volontario dei dipendenti nell'azionariato, e perciò negli organi societari, è già diffuso in alcune grandi aziende del settore pubblico e privato, soprattutto quotate, e nelle banche. Eni a fine 2024 ha annunciato l’assegnazione di oltre 3 milioni di azioni proprie ai dipendenti, nell’ambito di un piano di azionariato diffuso approvato dall’assemblea degli azionisti. Ma esempi simili si trovano anche in altri big dell'imprenditoria italiana, tra gli altri Fincantieri e Mediobanca.
A ben vedere, il binomio soci-dipendenti è storicamente osteggiato dal vasto mondo delle imprese familiari, che – in Italia – costituisce il cuore pulsante della produttività e l'ossatura delle PMI. Restie ad accettare soci esterni, anche tra i dipendenti, perché tipicamente ambienti fondati sull'idea di continuità generazionale e sul controllo del business da parte dei membri della famiglia. Tuttavia, oggi si registra un’apertura ai modelli di governance partecipativa, specialmente tra le PMI innovative e le grandi imprese familiari quotate.
Si ricorda che l’apertura al binomio soci-dipendenti è previsto dalla Costituzione: nell’articolo 46 si cita espressamente il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende. Al contempo nell'articolo 2349 c.c., intitolato “Azioni e strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro”, la ratio è quella di favorire la partecipazione dei lavoratori nella gestione e nei risultati di una società, con l'acquisizione della qualità di socio.
L'azionariato diffuso è concretamente agevolato attraverso specifiche misure, incentivi e esenzioni fiscali che, a particolari condizioni, mirano a promuovere la partecipazione dei dipendenti al capitale aziendale e l'assegnazione di azioni a questi ultimi. Il fondamento normativo è in documenti come la circolare delle Entrate n. 326/E del 1997 che, al punto 2.2.7. affronta esplicitamente il tema delle azioni di nuova emissione offerte ai dipendenti, ma soprattutto nell'articolo 51, comma 2, lettera g) del Tuir. Tale articolo spiega che non concorre a formare il reddito da lavoro dipendente: “il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti [...] a condizione che non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione”. E lo stesso PNRR incoraggia modelli di governance più inclusivi per migliorare la competitività delle imprese.
Dicevamo all'inizio della centralità dell'argomento nell'attuale dibattito dei sindacati. La promozione del binomio contrappone le due maggiori sigle, Cisl e Cigl. Se quest'ultima, infatti, teme un indebolimento della contrattazione collettiva, il sindacato guidato da Luigi Sbarra – nei prossimi mesi - punta deciso all'approvazione parlamentare di una proposta di legge di iniziativa popolare, denominata “Partecipazione al Lavoro”, che sostenga i salari e favorisca l'ingresso volontario dei dipendenti nell'azionariato delle aziende, con una distribuzione più equa della ricchezza prodotta.
Al di là degli scontri sul tema tra i due sindacati, il senso dell'iniziativa della Cisl è trasformare una sorta di opzione aziendale in una legge generale. Per il sindacato, infatti, solo una dettagliata legge dello Stato sarebbe il vero propulsore del binomio soci-dipendenti, verso un modello che combini acquisto di azioni e partecipazione gestionale.
La proposta Cisl ha potenzialità interessanti, ma a ben vedere non può ambire a essere soluzione diretta al problema dei salari bassi. E non solo per il meccanismo di partecipazione non obbligatoria, da parte di imprese e dipendenti.
Funziona e funzionerà meglio come strumento complementare per migliorare il coinvolgimento dei lavoratori e la distribuzione della ricchezza aziendale. Ma la partecipazione azionaria non potrà garantire un aumento certo e stabile del salario, che dipenderà – invece – dalla qualità della contrattazione collettiva e dall'andamento economico dell'azienda. Ed è vero anche che i vantaggi potrebbero concentrarsi nelle aziende più solide e aperte all’azionariato diffuso, creando squilibri tra i lavoratori e lasciando fuori molti settori dove i margini di profitto sono bassi o dove il modello partecipativo è meno praticabile.