Side hustle e altre illusioni: quando ti dicono “trend” per indorare la pillola
di Natalia Piemontese
Il secondo lavoro (o anche terzo) per sbarcare il lunario è sempre esistito, almeno da un ventennio a questa parte. Ma doverlo fare con tutta questa motivazione, felicità, soddisfazione e gratitudine da toxic positivity (da cui siamo tempestati), forse un po’ meno.
Spesso oggi quello che viviamo come necessità ci viene raccontato come trend.
Un esempio su tutti è il side hustle, che letteralmente dovrebbe rappresentare una “spinta laterale” per arrotondare lo stipendio. Un hobby per racimolare qualche soldino, un passatempo.
Invece sempre più persone non riescono ad arrivare alla fine del mese e quindi va a finire che quel “lavoretto” va fatto quotidianamente, con o senza passione o voglia, diventando di fatto un secondo lavoro o una seconda fonte di reddito. Ed ecco che scatta quella che è una narrazione sempre più diffusa: trasformare le difficoltà collettive in stile di vita. Motivante, felice, soddisfacente e riconoscente.
Perché non devi ragionare in ottica di precarietà economica ma di “opportunità”. Che devi essere entusiasta di poter cogliere al volo e che soprattutto non puoi assolutamente permetterti di perdere.
Non stai stentando, stai esplorando. Non sei stanco o precario ma resiliente e ambizioso. Ecco dunque che all’improvviso non sei più “costretto” a fare due lavori per sopravvivere: sei un leader perché stai costruendo una rendita passiva. E ti senti parte di un’élite. Dall’altra parte, intanto, influencer e guru della “libertà finanziaria” ci guadagnano, spesso vendendo corsi su come smettere di lavorare… lavorando di più.
È un modo sottile (ma efficace) di indorare la pillola: rendere accettabile una realtà faticosa, trasformandola in moda. Un trucco narrativo che serve a farci sentire meglio, ma soprattutto a farci smettere di porre domande (in primis a noi stessi).
E lo stesso meccanismo si ripete e si moltiplica. Se, ad esempio, non riesci a trovare lavoro dopo mille curricula inviati, allora puoi metterti in proprio e diventare un “freelance” che ha scelto la libertà. Ti dicono che sei fortunato perché puoi gestire il tuo tempo come vuoi, anche se va a finire che quel tempo lo trascorri a rincorrere clienti, fare preventivi o a compilare fatture fino a tarda sera.
Lo stesso vale per il cosiddetto self-care, che dovrebbe essere un modo per prendersi cura di sé, rimettendosi al centro e rallentando, invece si sente da lontano l’odore dell’ennesima trovata commerciale. Ti senti esausto, stressato o completamente svuotato? Invece di fermarti a riflettere e capire cosa non va, l’offerta proposta è di accendere una candela profumata, mettere una maschera viso o seguire una meditazione su YouTube. Così il burnout, invece di essere quello che è (ovvero un segnale d’allarme), si trasforma in un trend estetico e il disagio viene confezionato, monetizzato e venduto come benessere.
È, in fondo, una forma moderna di autoinganno collettivo. E finché ci continueranno a indorare la pillola, continueremo a ingoiarla, ovviamente col sorriso, sempre.
Perlomeno fino a quando non diventeremo più consapevoli, perché questo meccanismo è ovunque: nelle pubblicità, nei social, nei coaching che ci invitano a essere sempre produttivi, positivi e performanti. Positività e prestazione a tutti i costi, che diventano una gabbia.
Dobbiamo essere grati, sorridere, pensare positivo, perché tutto serve, tutto insegna, tutto accade per un motivo. Ma non sempre è così. A volte le cose fanno male e basta. Fermarsi a riflettere su ciò che viviamo davvero, al di là del racconto che ci viene venduto, è la vera libertà. Rimetterci al centro significa recuperare il nostro ruolo di esseri pensanti e riconoscere la fatica per quella che è, non un fallimento ma parte della condizione umana. Come i momenti no, la tristezza, la disillusione, la rabbia. Da accogliere e sentire, senza l’anestesia di una pillola dorata e rassicurante. Così da tornare domani a sorridere di nuovo, per davvero.