Siamo nell'epoca dell'intelligenza artificiale: ma se mancasse quella umana?
di Mario Alberto Catarozzo
Spesso le persone appena interagiscono con la tecnologia – da Internet ai social network - e a maggior ragione oggi con l'intelligenza artificiale sembrano perdere un pizzico della propria capacità critica e autonomia di pensiero. Perché accade questo? Non valutiamo più con attenzione, non verifichiamo più le informazioni, manchiamo di discernimento, diventiamo pigri mentalmente, quasi passivi. Basta dare uno sguardo nei ristoranti per vedere persone che fotografano il piatto prima di mangiare o che sono perse davanti allo schermo incuranti degli altri commensali seduti al tavolo. Stessa cosa se date un’occhiata alle persone in attesa alla fermata dell’autobus, oppure in metropolitana. Sembra che la tecnologia ci rapisca e si sostituisca al nostro pensiero: pare più facile assumere ciò che ci viene propinato, che elaborare proprie idee critiche. Le ragioni sono neurobiologiche e le neuroscienze stanno rispondendo a queste domande: per come siamo fatti noi esseri umani, siamo particolarmente condizionabili e manipolabili. Si sommano poi aspetti psicologici, come la necessità di seguire la massa, di non sentirsi soli, di non apparire diversi, di non prendere responsabilità e via dicendo. Ed ecco che il gioco è fatto: un esercito di automi umani apparentemente intelligenti, ma di fatto non pensanti. Qualunque sia l'origine di tale fenomeno -- l'aver delegato il pensiero -- le conseguenze sono spesso le stesse. Un paradosso, vero?! Proprio perché abbiamo a disposizione strumenti potenti dovremmo diventare più consapevoli, più saggi e capire che, alla fine, è solo uno strumento e che nessuna tecnologia ci salverà dalla necessità di sviluppare la nostra intelligenza umana.
Pensiero critico e consapevolezza nell'era digitale
Non è un caso che dopo decenni di sviluppo tecnologico spesso orientato all'efficienza o all'automazione, quello che più sta tornando in auge oggi è il tema della consapevolezza digitale. Un approccio basato sulla valutazione critica delle informazioni, sulla riflessione approfondita, sull'etica e sulla crescita personale che passa non dai risultati immediati -- quelli arrivano di conseguenza -- ma dalla cura dell'intelletto basata sulla curiosità e non certo sulla delega cognitiva ai sistemi artificiali. Non c'entra nulla il rifiuto della tecnologia e tantomeno l'essere tecnofobici o voler apparire "alternativi" per essere considerati. Qui l'alternativa, non c'entra, o meglio, c'entra ma in una logica non di contrapposizione, bensì di integrazione consapevole.
Il pensiero critico, definito anche "critical thinking", è uno stile cognitivo dove al centro c'è la persona, come nel rinnovato Umanesimo Digitale, che sta caratterizzando questo nuovo periodo storico della tecnologia e delle organizzazioni. L'accento è sulla comprensione, sull'analisi e sulla valutazione delle informazioni e delle esperienze nei confronti dei sistemi artificiali. Non si tratta, dunque, di essere "avversi" o "contrari", ma di mettere al centro di ogni scelta l'umanità e la consapevolezza, che diventa uno stile di relazione con la tecnologia.
Il DNA dell'intelligenza umana nell'era dell'AI
Perché un'interazione con l'intelligenza artificiale possa definirsi "consapevole" deve connotarsi per:
Discernimento: le persone con tale approccio cercano di valutare criticamente le informazioni ricevute dall'AI. Ascoltano attentamente l'output, ma lo esaminano con spirito critico, cercando di comprendere da dove vengono i dati e quale logica li ha generati.
Contesto: inteso come capacità di inserire le informazioni in un quadro più ampio; comprendono che l'AI manca della visione d'insieme e del contesto culturale, sociale ed emotivo che caratterizza l'esperienza umana.
Responsabilità: sanno bene che la delega decisionale richiede supervisione e che le persone apprendono e si adattano a ritmi diversi rispetto alle macchine. Mostrano dunque consapevolezza e mantengono il controllo durante questi processi.
Comunicazione efficace: favoriscono un ambiente in cui le persone si sentono a proprio agio nel condividere idee, esprimere preoccupazioni o fare domande sull'uso dell'AI. Questo coinvolge l'ascolto attivo e il feedback costruttivo tra esseri umani.
Autenticità: le persone con intelligenza umana sviluppata non fingono di essere qualcuno che non sono, né attribuiscono alle macchine capacità umane che non possiedono. Mostrano la loro umanità, compresi i loro punti di forza e le loro debolezze, il che può aiutare a costruire relazioni genuine.
Inclusività: sanno valorizzare tutte le opinioni e cercano di garantire che la tecnologia sia al servizio di tutti. Questo include la consapevolezza dei bias algoritmici e l'impegno per un uso equo e inclusivo dell'AI.
Resilienza cognitiva: riconoscono che tutti possono commettere errori e mostrano capacità di adattamento anche in queste circostanze. Piuttosto che delegare completamente, cercano di usare questi momenti come opportunità di apprendimento e di crescita.
Riflessività: sviluppano la capacità di riflettere sul proprio pensiero, sulle proprie decisioni e sul proprio modo di relazionarsi con la tecnologia.
A cosa punta l'intelligenza umana nell'era dell'AI
Una persona con intelligenza umana sviluppata si concentra certo sui risultati, ma prima ancora si preoccupa che le persone siano messe nella condizione per poter utilizzare la tecnologia in modo consapevole, diventandone i protagonisti e non gli spettatori passivi. Obiettivi, risultati, coinvolgimento, rispetto e consapevolezza sono le linee guida di questo stile cognitivo, che oggi i giovani rischiano di perdere nell'interazione con sistemi sempre più evoluti. Questo stile di pensiero può contribuire, dunque, a creare un ambiente tecnologico più etico, incoraggiare la collaborazione uomo-macchina e aumentare la soddisfazione e il benessere delle persone.
E nelle professioni?
Se l'intelligenza artificiale si sta diffondendo nelle grandi organizzazioni multinazionali e in molte realtà domestiche, un po' diverso appare ancora oggi il panorama delle professioni intellettuali. Avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e notai stentano ancora a comprendere appieno il cambiamento in atto. L'idea è che il professionista possa ancora esercitare in modo tradizionale, nonostante la realtà restituisca feedback diversi. Probabilmente sarà questione di tempo, ma lo sviluppo dell'intelligenza artificiale richiede un parallelo sviluppo dell'intelligenza umana, emotiva e relazionale. I giovani professionisti si trovano a un bivio: abbracciare acriticamente la tecnologia o integrarla consapevolmente nel proprio percorso professionale, vorrà dire qualcosa?
Perché gli umani restano insostituibili
Nella corsa all'automazione e all'efficienza, tendiamo a dimenticare che esistono qualità tipicamente umane che l'AI non può replicare:
Si tratta di sviluppare ciò che ci distingue, non di competere su ciò che le macchine fanno meglio di noi. Il vero valore del professionista moderno risiede nella capacità di integrare le potenzialità dell'AI con qualità umane uniche: il giudizio professionale, l'empatia con il cliente, la comprensione del contesto sociale, la responsabilità morale delle decisioni.
Verso un nuovo umanesimo tecnologico
L'intelligenza artificiale non è né buona né cattiva di per sé - è uno strumento. La differenza la fa l'intelligenza umana che la guida. Sviluppare consapevolezza digitale significa comprendere i limiti e le potenzialità dell'AI, mantenere il controllo sulle decisioni importanti, e utilizzare la tecnologia per amplificare - non sostituire - le nostre capacità cognitive ed emotive.
Il futuro non appartiene né agli algoritmi né a chi li rifiuta, ma a chi saprà integrare il meglio dell'intelligenza artificiale con una rinnovata intelligenza umana. Come diceva il filosofo Umberto Eco: "Il vero problema non è proteggere il passato ma proteggere il futuro". E il futuro richiede persone che sappiano pensare in modo critico, creare connessioni significative, e prendere decisioni sagge in un mondo sempre più complesso.
L'era dell'intelligenza artificiale ha bisogno, paradossalmente, di più intelligenza umana che mai: più discernimento, più profondità, più saggezza. Non possiamo permetterci di delegare il pensiero. La vera innovazione sarà utilizzare l'AI per liberare tempo ed energie da dedicare a ciò che ci rende autenticamente umani: la riflessione profonda, la connessione emotiva, e la ricerca di significato.
Continueremo ad approfondire nelle prossime puntate di questo blog il tema della consapevolezza tecnologica e dello sviluppo dell'intelligenza umana nell'era dell'AI.