Imprenditori cercasi. Non semplicemente titolari e/o soci d’impresa (costruita o ricevuta in eredità), ma veri e propri imprenditori, cioè che davvero abbiano lo spirito di “intrapresa” economica (industriale, commerciale o di servizi che sia). La differenza – sostanziale, a sommesso giudizio di chi qui scrive – risiede nella determinazione di saper fissare e voler raggiungere degli obiettivi anche cambiando, modificando, innovando la struttura consolidata nel tempo della propria impresa.
Che siano obiettivi di crescita dimensionale, di lancio di una start up, di diverso posizionamento di brand o di prodotti/servizi, di diversificazione per ampliare mercati e aree di presenza geografica, di aggregazione, di riorganizzazione societaria, finanche di risanamento industriale o finanziario, non muta di molto il nostro ragionamento, qui; ma che siano però obiettivi “scelti” razionalmente, “prefissati” e non subiti, “credibili” da un possibile finanziatore/investitore esterno, “realizzabili” secondo le tecniche economico-finanziarie valutabili e, nondimeno, “attuati” nel tempo.
Può esistere un’unica regola per predisporre un piano d’impresa (qualsivoglia accezione nominalistica si preferisca utilizzare)? Ovviamente la risposta è “no”; dipenderà dal variare dei casi e dei contesti specifici. Ma alcuni punti cardine, una sorta di “minimo comune denominatore”, esistono e meritano di essere segnalati e, ove del caso, discussi.
Occorre iniziare con (forse) l’ovvio. Innanzitutto, serve avere (o creare) “capacità predittiva”, per sviluppare un (buon) business plan. Capacità predittiva, però, non è “indovinare” un numero (di fatturato o di marginalità) alla fine del periodo del piano, bensì è l’applicazione di una corretta metodologia di implementazione dei numeri derivanti dalle varie variabili inserite nel piano, così da poter avere una proiezione temporale di risultati che rispondano alle assunzioni iniziali e che siano tecnicamente coerenti fra loro. Non è, per dirla tutta, una “quadratura” in formato Excel di conti economici prospettici fatta a tavolino esternamente all’azienda, ma discende da specifiche ipotesi attuative di singole azioni tese al raggiungimento di uno o più obiettivi concreti. Difatti, un business plan non dovrebbe avere come output “un” risultato, ma “un range di risultati condizionati”: “range”, poiché dipendono da analisi di sensitività delle stime effettuate, e “condizionati”, poiché dipenderanno appunto dall’effettiva implementazione delle azioni poste a base del piano stesso. Azioni tese al raggiungimento di quegli obiettivi che dovrebbero avere le caratteristiche indicate all’inizio del presente articolo.
Un piano che sia un “vero” piano, peraltro, non dovrebbe limitarsi alle mere proiezioni di conto economico (vieppiù spesso tralasciando il conteggio delle imposte o applicando un tax rate nominale pro-forma). Perché un piano possa dirsi “forte”, infatti, occorre che abbia anche le proiezioni finanziarie su cui poterne valutare la sostenibilità. Quindi, necessita delle proiezioni di stato patrimoniale per poterne ricavare le proiezioni dei flussi di cassa prospettici; ricavare questi ultimi unicamente dalle proiezioni di conto economico non consente infatti di delineare gli effetti delle politiche di investimento, di pay-out dei dividendi e/o di ricorso a diversa struttura del capitale. E, conseguentemente, l’impropria prassi di non calcolare l’incidenza fiscale e/o l’utilizzo di un tax rate nominale, comporta – ancor più in assenza delle simulazioni patrimoniali e finanziarie – un effetto “falso positivo” sulla generazione di cash flow nel corso del piano.
Da ciò discende un’ulteriore riflessione – che si incrocia con i temi trattati in precedenti articoli sulla finanziabilità delle imprese e degli investimenti aziendali – basata sulla, tanto ovvia quanto spesso sottovalutata, differenza fra le tipologie di investimento ipotizzate. Diverso è, infatti, il ritorno dell’investimento, sia in termini di marginalità e flussi finanziari che, quindi, di pay-back period, tra investire la medesima somma in nuovi macchinari per ampliare la produzione o in nuovi capannoni per mettervi i nuovi macchinari, o ancora in un’acquisizione di un’altra azienda ovvero in un’iniziativa greenfield in un Paese estero. Al contempo, anche il “rischio” associato ai diversi investimenti possibili sarà differente, essendo ad esempio diverso investire in aumento della produzione di prodotti già esistenti, dall’investire in un nuovo prodotto o dall’investire in nuovi mercati geografici.
Da qui deriva la necessità, non solo di predisporre (per le assunzioni individuate) proiezioni con diverse assunzioni probabilistiche di realizzo (i.e. scenari best, medium e worst; ovvero attraverso l’utilizzo delle simulazioni Montecarlo che individuano dei “range di confidenza” statistica), ma anche – e in alcuni casi “soprattutto” – di predisporre dei veri e propri scenari “alternativi” fra loro (i.e. as is in continuità; con ipotesi di investimento strutturale in continuità; con ipotesi di investimenti per nuovi mercati e/o diversificazione; con ipotesi di aggregazioni), al fine di individuare la migliore scelta strategica possibile su cui sviluppare le proiezioni di piano vere e proprie.
E, nondimeno, la necessità di oggettivazione delle assunzioni esogene (i.e. tassi di interesse, inflazione, materie prime, costo del lavoro, etc.; indicando quali fonti/banche dati siano state utilizzate) e di “scomposizione trasparente” delle variazioni “durante” il piano (che l’orizzonte temporale sia di tre, cinque o dieci anni, evidenziare le variazioni di fatturato e di ebitda suddividendole fra effetto quantità, effetto prezzi, effetto savings e in quali aree, effetto nuovi prodotti, effetto nuovi mercati). Non dimenticando nemmeno che alcune “voci” contabili hanno un “contenuto” concreto agli occhi del lettore del piano (i.e. a mero esempio: scomposizione, almeno per i periodi iniziali, del costo del personale fra diretti/indiretti e dirigenti, in funzione dell’effettiva previsione del loro numero e non lasciandolo meramente “lineare”; indicazione delle eventuali previsioni di distribuzione di dividendi e/o di ricorso a nuovo indebitamento, per l’effetto che queste due scelte possono avere sul calcolo del WACC – e quindi sul valore dell’azienda – nel periodo del piano).
È solo di fronte ad un piano con queste caratteristiche – un cd. piano(forte) – che ci si potrà davvero esprimere sulla sua sostenibilità e quindi sulla sua finanziabilità. Ed è solo in presenza di una corretta valutazione del rischio, associata alle diverse assunzioni del piano, che si potrà determinare il reale valore dell’impresa e quindi la sua appetibilità a nuovi eventuali investitori.