Senza pianificazione il lavoro negli studi professionali si espande all’infinito

di Michele D’Agnolo

Chi lavora in uno studio professionale — che si tratti di un commercialista, di un consulente del lavoro, di un avvocato o di un consulente aziendale — sa bene che il tempo non basta mai. Le giornate sembrano riempirsi da sole, i compiti si allungano, le urgenze emergono senza preavviso, e alla fine si ha la sensazione di correre sempre… restando però fermi nello stesso punto.

Questo fenomeno non è casuale. È descritto da una “legge” molto nota nel mondo dell’organizzazione: la Legge di Parkinson, secondo la quale “il lavoro si espande fino a occupare tutto il tempo disponibile per completarlo”.

Ed è esattamente ciò che accade negli studi che non hanno una vera pianificazione della produzione.

Quando il lavoro non è organizzato e non esistono confini chiari, le attività tendono ad allungarsi, a diventare più pesanti, più dispersive. Non perché siano realmente più complesse, ma perché mancano dei limiti che ne contengano la durata. Così, ciò che potrebbe richiedere due ore ne occupa quattro; ciò che si potrebbe concludere in un giorno finisce per trascinarsi per tutta la settimana. Il risultato è un calo di efficienza che spesso rimane invisibile, ma che pesa moltissimo sulla redditività dello studio e sulla serenità delle persone.

In uno studio professionale, le attività sono molteplici e molto diverse tra loro: adempimenti ricorrenti, consulenze personalizzate, revisioni, richieste improvvise dei clienti, aggiornamenti normativi. Senza una pianificazione, ciascun compito rimane sospeso in un limbo: non ha limiti temporali chiari, non ha scadenze intermedie, non ha un percorso definito. In queste condizioni, il tempo necessario per portarlo a termine non viene dettato dalla sua reale complessità, ma dalla quantità di tempo percepita come disponibile.