Ci è arrivato anche il Canada, con la sua Canada Revenue Agency, quando nel 2016, avvalendosi di una delle quattro big società di revisione, determinò le imposte dovute per ritenute omesse (Federal Tax 15 per cento e Quebec Tax 9 per cento) sul reddito imponibile calcolato sulla quota dei compensi dovuti dalle scuderie ai piloti ingaggiati, quali risultanti dai contratti prodotti alle autorità fiscali di quel Paese. Nella minuziosa ricostruzione degli addebiti effettuata dai revisori, fu adottato l’oramai consolidato criterio (assunto per altre circostanze anche dalla nostra Agenzia delle Entrate: si veda il caso della determinazione del reddito imponibile di alcuni ciclisti appartenenti a una squadra italiana – Risoluzione n. 79/2006), per cui il compenso globale di contratto, salvi i premi speciali per piazzamenti in gara, deve essere diviso per il numero di gare e il risultato moltiplicato per quelle disputate nel Paese nell’anno (nel Canada una). In realtà, nella missiva inoltrata alle scuderie, veniva ricordato un precedente accordo venuto a scadere nel 2008 (quindi operante fino ad allora), per il prelievo della whithholding tax a cura del promotore della locale gara, per cui risultava ben chiaro l’intendimento del CRA di andare al recupero di ogni imposta dovuta dai piloti per gli anni successivi (escluso il 2009 perché non vi fu disputata alcuna competizione), qualora gli stessi non avessero presentato la – dovuta - dichiarazione dei redditi per quei periodi d’imposta.
Normalmente i contratti tra scuderie e piloti prevedono la possibilità del recupero di ogni imposta che le prime dovessero essere chiamate ad assolvere in relazione ai pagamenti fatti agli sportivi, per cui le scuderie si rivolsero a loro per essere ristorate delle somme pagate al CRA. Non solo, ma nella comunicazione della società di revisione veniva sottolineato che, sostanzialmente, gli stessi principi per l’applicazione dell’imposta canadese (“sebbene con una metodologia variabile”) erano adottati in altri Paesi quali: Regno Unito, Germania, Stati Uniti (“per alcuni anni”). E, a seguire, in India, Austria, Singapore e Belgio.
E per quanto riguarda l’Italia? Sul punto, la nostra Amministrazione finanziaria non ha preso posizione, mentre quelle di altri Paesi limitrofi si sono attivate (San Marino, Segreteria di Stato Finanze e Bilancio, circolare n. 1713/2014; Svizzera, Dipartimento delle Finanze e dell’Economia, Direttiva n. 3/2015 e 1/2024), sia fornendo un quadro esaustivo della tassazione di artisti e sportivi, sia impartendo istruzioni operative agli uffici periferici. E dire che i numeri, solo per il comparto della Formula 1 (essendo quello il circuito per il quale - per ora - sono stati calcolati, per quanto approssimativamente e certo per difetto, i redditi da sottoporre a tassazione), sarebbero importanti: almeno 120 (centoventi) milioni di Euro per il periodo 2016-2022, per cui, qualora le scuderie non avessero operato la ritenuta d’imposta come è dato di ritenere, l’intero gravame cadrebbe sui piloti stranieri che non hanno qui presentato la dichiarazione dei redditi, con le conseguenti sanzioni. D’altronde, nel corso di una importante trasmissione televisiva, è emerso che la controllata svizzera di una scuderia italiana, la quale aveva “esteriorizzato” (??) i contratti con i suoi piloti (almeno fino al 2022), comunicò di non ritenere che per il GP di Monza ci fosse alcuna ritenuta da operare, al contrario di quanto sistematicamente faceva per le gare in altri Paesi.
Va segnalata, ad ogni modo, ancorché risalente al lontano 2006, l’”iniziativa” dell’Agenzia delle Entrate - Ufficio 4 di Roma nei confronti di un famoso pilota di Formula 1 (il quale, comunque, già diversi anni prima aveva trasferito “spontaneamente” la sua residenza in Italia da Montecarlo).