Scambio dati contro servizi delle piattaforme social: è vera permuta?
di Massimo Sirri
La direttrice seguita nelle recenti investigazioni nei confronti dei gestori delle più importanti piattaforme “social” sarebbe quella della permuta fra i servizi erogati in modo asseritamente gratuito da tali soggetti e i dati che gli utenti permettono loro di utilizzare: personali, di navigazione, preferenze, interazioni, eccetera. Trattandosi di una permuta, la fattispecie è rilevante ai fini IVA, ancorché, nella generalità dei casi, essendo gli utenti/fornitori persone fisiche che operano in veste di privati, a essere assoggettati a imposta sarebbero solo i servizi resi dalle piattaforme. Perlomeno, fintanto che qualcuno non intenda altresì ipotizzare che, se ci iscrive sia a Meta, sia a X e magari anche a Instagram e a LinkedIn, non si stia in realtà svolgendo una “attività economica” di fornitura dati, idonea a far acquisire la soggettività passiva, con la conseguenza che a dover scontare l’imposta sarebbero entrambe le “prestazioni” di cui si compone l’operazione permutativa.
Al di là degli esiti che deriveranno da tali attività di controllo e delle possibili ricadute in altri ambiti impositivi (potrebbe trattarsi dell’individuazione di un reddito diverso in capo agli utenti, ma potrebbero esservi altre implicazioni), l’ipotesi all’origine delle contestazioni è comunque interessante, perché consente di riprendere questioni di assoluto rilievo nella prospettiva del sistema impositivo.
In disparte il fatto che, pur essendo l’IVA oramai unanimemente considerata un’imposta sui consumi, non è dato rinvenire una definizione normativa del concetto di “consumo” né della nozione di consumatore (né a livello di direttiva né di ordinamento interno) e che neppure la giurisprudenza della Corte di giustizia europea è pervenuta a risultati soddisfacenti, nonostante si sia più volte occupata di stabilire se una determinata operazione implichi o meno un “consumo” in senso fiscale, la riflessione è sollecitata anche per altri profili che saranno senz’altro oggetto di attenzione nelle possibili controversie conseguenti alle verifiche in corso.
Un primo aspetto è collegato alla nozione di “prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso” di cui all’articolo 2 della direttiva n. 2006/112. Sulla base degli insegnamenti della giustizia UE, affinché possa dirsi che una prestazione di servizi è rilevante ai fini dell’imposta, è necessario che, come già stabilito dalla sentenza nella causa C-154/80, esista un “nesso diretto” fra la prestazione e la controprestazione e che il controvalore della prestazione sia espresso o esprimibile in “denaro” e rappresenti altresì il “valore soggettivo”, ossia effettivo e non semplicemente stimato secondo criteri oggettivi, fermo restando il ricorso al valore normale ove ammissibile (com’è appunto per la permuta) e talora di difficile individuazione.
Al riguardo, non potrà sfuggire che la contestuale esistenza di due prestazioni non sempre implica uno scambio fiscalmente rilevante. Nella sentenza C-409/98, esaminando il caso di un soggetto che “s’impegni, anche in cambio di un pagamento effettuato dal proprietario, unicamente a divenire locatario ed a pagare il canone” per alcuni immobili, i giudici hanno infatti stabilito che tale soggetto “non fornisce, per quanto riguarda tale attività, una prestazione di servizi al proprietario”, circostanza che potrebbe invece verificarsi, laddove il proprietario ritenesse che, per la notorietà e il prestigio del futuro locatario, il pagamento eseguito a tale soggetto configuri il corrispettivo di “una prestazione di pubblicità soggetta ad imposizione”. Puntualizzazione – quest’ultima – che introduce un ulteriore elemento di complicazione, potendo la disciplina dell’operazione dipendere da circostanze che esulano dalla sfera di conoscenza/conoscibilità del (presunto) prestatore, al quale ben possono sfuggire le ragioni delle scelte imprenditoriali di controparte. Ciò che, oltretutto, non pare in linea con quanto stabilito dalla sentenza C-384/95, secondo cui la nozione di prestazione di servizi non può dipendere “dalla destinazione riservata al servizio da parte di chi lo ricompensa”.
Allo stesso modo, può essere l’indeterminatezza della controprestazione a determinare l’irrilevanza dell’operazione, indipendentemente dalla sua onerosità. Può darsi, per esempio, il caso che il “nesso diretto” fra le prestazioni non sia individuabile per l’impossibilità di stabilire il “valore reale dei servizi forniti”. Queste sono le conclusioni della sentenza C-246/08, nella quale è esaminata la rilevanza di servizi di assistenza legale in cui il corrispettivo della prestazione è legato a parametri che non sono collegati alla natura, quantità e qualità della prestazione, quali l’importo dei redditi e del patrimonio dei beneficiari delle prestazioni. Dal che deriva che “il nesso tra i servizi di assistenza legale forniti dagli uffici pubblici e il controvalore che i beneficiari devono pagare non risulta avere quel carattere diretto che è necessario perché tale controvalore possa essere considerato la retribuzione di detti servizi e, conseguentemente, perché questi ultimi costituiscano attività economiche” ai sensi della direttiva.
Com’è intuibile già da queste brevi considerazioni, la teoria dell’esistenza di una permuta fra i dati degli utenti dei social network e l’accesso ai servizi delle piattaforme dovrà superare più di una “prova di resistenza”.