Saper ascoltare (davvero): la competenza fondamentale per il professionista
di Mario Alberto Catarozzo
Perché la capacità di ascoltare davvero è diventata oggi una competenza richiesta ai manager, ai leader e ai professionisti? Partiamo dalla considerazione che viviamo nell'era della distrazione, dell’information overload, dove è tutto troppo: troppe informazioni, troppo veloce, troppo poco tempo. In quest’epoca dominata da ritmi frenetici e comunicazioni istantanee, il paradosso più evidente è che mentre tutti parlano, pochi sanno realmente ascoltare. Eppure, proprio nell'epoca in cui la comunicazione sembra essere il fulcro di ogni attività professionale, l'ascolto autentico rappresenta la competenza più rara e preziosa.
L'ascolto come investimento strategico
Quante volte, durante una riunione con un cliente, ci siamo sorpresi a pensare alla risposta mentre l'interlocutore stava ancora parlando? O peggio, mentre consultavamo distrattamente lo smartphone, cogliendo solo frammenti del discorso? Questo non è ascolto, è semplicemente attesa del proprio turno di parola.
L'ascolto attivo rappresenta una dimensione completamente diversa: implica una presenza totale, un'attenzione focalizzata, che va oltre le parole pronunciate, per cogliere significati più profondi, bisogni inespressi, opportunità nascoste. Non è un caso che i professionisti di maggior successo – professionisti, consulenti, manager – eccellano proprio in questa competenza.
Il fenomeno, peraltro, è supportato da dati inequivocabili: secondo una ricerca pubblicata dall'Harvard Business Review, i professionisti che praticano l'ascolto attivo chiudono il 32 per cento in più di contratti rispetto ai colleghi che utilizzano approcci comunicativi tradizionali. Il motivo è semplice: un cliente che si sente veramente ascoltato sviluppa un legame di fiducia che va ben oltre la semplice transazione professionale.
La dimensione neurobiologica dell'ascolto
L'ascolto attivo non è solo una tecnica comunicativa, ma un vero e proprio stato psicofisiologico distintivo. Quando ascoltiamo con piena presenza, il nostro cervello attiva aree diverse rispetto a quando siamo in modalità "ascolto passivo".
Gli studi di neuroimaging mostrano un'intensa attività nelle aree cerebrali deputate all'empatia, al riconoscimento delle emozioni e all'elaborazione del linguaggio non verbale. In pratica, quando ascoltiamo attivamente, il nostro cervello lavora molto più intensamente che quando parliamo, confermando che l'ascolto autentico richiede un impegno cognitivo ed emotivo considerevole.
Questa attivazione cerebrale spiega perché dopo un'intensa sessione di ascolto attivo ci sentiamo mentalmente affaticati: abbiamo letteralmente "lavorato" con intensità, anche se non abbiamo pronunciato una parola.
Il rischio più comune per i professionisti è cadere nell'illusione dell'ascolto. Ascoltare selettivamente, filtrando solo ciò che conferma le nostre convinzioni o ciò che riteniamo utile, rappresenta un errore strategico dalle conseguenze rilevanti.
Nella personale esperienza, potrei raccontare numerosi episodi in cui dall’analisi dei feedback di clienti che hanno abbandonato lo Studio emerge che gli stessi si sentivano "processati anziché ascoltati". I professionisti dello Studio, eccellenti dal punto di vista tecnico, commettevano sistematicamente l'errore di interrompere i clienti per proporre soluzioni prima di aver compreso appieno la situazione.
La metodologia dell'ascolto professionale
Come si pratica concretamente l'ascolto attivo nel contesto professionale? Non si tratta semplicemente di tacere mentre l'altro parla, ma di attivare un preciso protocollo comunicativo:
Presenza totale: eliminare distrazioni fisiche e mentali. Lo smartphone deve essere spento o in modalità aereo, non semplicemente silenzioso. La mente deve essere sgombra da preoccupazioni parallele.
Postura ricettiva: il linguaggio del corpo comunica la nostra disponibilità all'ascolto. Una postura aperta, il contatto visivo calibrato (né invadente né sfuggente) e un'espressione interessata sono elementi fondamentali.
Sospensione del giudizio: durante la fase di ascolto, è essenziale sospendere temporaneamente valutazioni e soluzioni. Il momento dell'analisi verrà successivamente.
Tecnica delle domande aperte: per approfondire la comprensione senza dirigere artificiosamente la conversazione. Domande come "può dirmi di più su questo aspetto?" o "come si è sentito in quella circostanza?" aprono spazi di condivisione preziosi.
Riformulazione riflessiva: riproporre con parole proprie ciò che si è compreso del messaggio dell'interlocutore. Questo non solo dimostra attenzione, ma permette di verificare la corretta comprensione.
L'integrazione di questi elementi trasforma l'ascolto da attività passiva a processo attivo di co-costruzione di significato e relazione.
La cultura dell'ascolto nello studio professionale
L'ascolto attivo è una competenza che può e deve essere coltivata a livello organizzativo. Negli studi professionali più evoluti, questa capacità viene sistematicamente sviluppata attraverso programmi formativi specifici e inserita nei processi di valutazione delle performance.
Molti studi hanno trasformato il proprio approccio ai clienti e anche agli stakeholder interni introducendo sessioni periodiche di "ascolto strutturato" tra colleghi, in cui ciascuno ha la possibilità di condividere osservazioni e feedback in un contesto protetto. I risultati spesso sono sorprendenti, in quanto non solo migliora la comunicazione interna, ma si sviluppano sensibilità all'ascolto che i clienti percepiscono immediatamente e che diventano fattore di differenziazione nel mercato.
Tecnologia: ostacolo o alleata?
In un'epoca in cui la tecnologia digitale domina la comunicazione professionale, l'ascolto attivo deve confrontarsi con nuove sfide. Le videoconferenze, pur comode, filtrano gran parte dei segnali non verbali, riducendo drasticamente la ricchezza comunicativa dell'interazione faccia a faccia. La risposta non è demonizzare la tecnologia, ma acquisire nuove competenze di "ascolto digitale". Prestare maggiore attenzione alle sfumature vocali, gestire i silenzi, calibrare i tempi e anticipare le difficoltà tecniche sono elementi essenziali per mantenere alta la qualità dell'ascolto anche negli scambi mediati dalla tecnologia.
L'ascolto come fattore competitivo
In definitiva, l'ascolto attivo rappresenta un autentico vantaggio competitivo per il professionista contemporaneo. In un mercato dove l'offerta di competenze tecniche tende all'omologazione, la capacità di costruire relazioni attraverso un ascolto autentico emerge come fattore distintivo decisivo.
Come ci ricorda il filosofo Byung-Chul Han: "La società contemporanea ha perso la capacità dell'ascolto. L'ascolto è un'arte più difficile del parlare. Richiede attenzione, vulnerabilità, apertura all'altro". Per il professionista che saprà recuperare questa "arte difficile", le opportunità di crescita personale e professionale saranno straordinarie.
In un mondo che parla sempre più forte, il vero potere appartiene a chi sa veramente ascoltare.