Sanremo, Enzo Mazza (FIMI) a Blast: “Costi alti per le case discografiche? Stiamo finendo la negoziazione con la Rai”. Il rimborso sale a 75mila euro a Big
di Francesco Carrubba
Le case discografiche fanno il Festival di Sanremo in perdita. Le uscite sono prevalenti, i costi già alti aumentano. Rai ha accettato di incrementare i rimborsi, da 62 a 75mila euro per artista. Intanto il cast svelato da Carlo Conti per il 2026 apre un dibattito: mancano i grandi nomi?
Emergono alcuni dati. I dischi di platino e gli stream dei Big appena annunciati risultano dimezzati rispetto all’ultima edizione. I 30 nomi ora in gara sommano 29,4 milioni di ascoltatori mensili su Spotify, circa il 45 per cento in meno rispetto ai 52,8 milioni del 2025 e ai 54 del 2024. La cifra è inferiore anche ai 33,6 milioni del 2023 e ai 31,2 milioni del 2022.
Inoltre i dischi di Platino certificati FIMI sono 330, meno della metà al confronto con i 695 del 2025. Erano 512 nel 2024 e 341 nel 2023. Si è ipotizzato che i costi alti da affrontare per la kermesse abbiano influito sulle scelte delle etichette: facciamo chiarezza con Enzo Mazza, Ceo di FIMI, la Federazione Industria Musicale Italiana che rappresenta le case discografiche nazionali.
Come si può “misurare” il cast di Sanremo?
È indubbio: il Festival è la maggiore vetrina promozionale della musica italiana. Ma come si può valutare la rosa dei Big? “Il cast si misura poi al risultato delle vendite”, risponde Mazza, “I numeri degli stream complessivi e dei dischi di platino sono sicuramente inferiori a quelli degli artisti in gara nelle ultime edizioni. Però quello che a noi interessa è che misureremo il successo dell’edizione 2026 con i risultati che arriveranno dopo il Festival con lo streaming. L’abbiamo visto anche negli ultimi anni: artisti che erano stati giudicati poco appetibili per il Festival, poi hanno fatto comunque risultati rilevanti; per l’anno scorso penso a Lucio Corsi ma anche alla stessa Giorgia che magari, storicamente, non era un’artista da streaming e si è dimostrato che invece ha fatto numeri rilevanti”.
Una questione “artistica”
Pertanto il cast nasce da dinamiche prevalentemente artistiche. Ma si può dire che le case discografiche abbiano spedito in Riviera le “frecce” migliori del loro arco? “Il tema non è tanto delle case discografiche, quanto anche l’artista. Questi sono progetti condivisi tra etichetta e musicista”, spiega il CEO di FIMI, “Quindi se la congiunzione in questo momento è stata che sono mancati dei grandi nomi perché non avevano pronta una produzione che ritenevano essere di rilievo per poter competere al Festival, le case hanno dovuto adattarsi a questa risposta. Da quello che sappiamo molti artisti che sono stati a Sanremo in questo momento non ritenevano di avere un pezzo forte per il Festival”.
Il nodo dei costi alti per le etichette
I costi alti per le case discografiche pesano? “Assolutamente. Noi stiamo ancora finendo la negoziazione con Rai e abbiamo approcciato anche il Comune di Sanremo per i costi del Festival che sono assolutamente insostenibili per le aziende: l’economia di queste ultime tiene sempre conto del fatto che si vada in perdita a fare il Festival”.
“Il valore di mercato del Festival è tra l’1,2 e il 2 per cento al massimo: parliamo di dischi singoli, dobbiamo sempre considerare che l’economia in gioco è legata alle canzoni del Festival. Non si vende altro, si vendono canzoni che vanno prevalentemente sullo streaming, non album o vinili. Queste economie per definizione sono inferiori alle vendite di Natale, quando si vendono invece i cofanetti, gli album... Quindi, al di là del successo promozionale e del fatto che un artista venga scoperto grazie al Festival e abbia quindi una carriera che in quel momento ottiene dei risultati, bisogna sempre fare il conto con le entrate e le uscite. E le uscite oggi sono prevalenti rispetto alle entrate, per un’azienda”, afferma Mazza.
C’è un legame tra i costi alti e il cast di Sanremo 2026? “Penso che questo sia difficile da quantificare perché bisognerebbe capire se tutte le aziende hanno ragionato così”, spiega Mazza, “Ci sono anche tanti indipendenti. Quello che sappiamo è che, tra le proposte iniziali di Rai e l’assenza del Comune nel valutare dei contributi economici per le aziende, di certo non si è scatenato l’entusiasmo di queste ultime, come si può immaginare”.
Industria musicale, Rai e Sanremo
La negoziazione è al fotofinish: “La parte economica con Rai si è conclusa, praticamente stiamo adesso vedendo dei dettagli operativi per i contratti, prima della firma”.
La premessa: le case discografiche al Festival spendono 120-150mila euro ad artista, Rai ne rimborsava 62mila. Parallelamente la convenzione con il Comune lievitava di quasi 1,5 milioni, fino a 6,5, più l’1 per cento sugli introiti. Adesso i contributi dell’anno prossimo per un big dovrebbero essere intorno ai 75.000 euro. C’è stato dunque un aumento fronte Rai, mentre per Rai pubblicità quest’anno si prevedono incrementi ulteriori, ma mancherebbero sostegni da parte del Comune.
“Dall’altra parte abbiamo assistito a un incremento che arriva anche oltre il 30 per cento dei costi degli alberghi”, aggiunge Mazza che conferma: la negoziazione, valida già per Sanremo 2026, “deve concludersi entro le prossime due settimane, sicuramente”.
Lo spettro del boicottaggio
Nelle scorse settimane si era parlato di un possibile boicottaggio da parte delle case discografiche nei confronti della kermesse. “Se non fosse stato fatto un intervento economico, con quello che veniva pagato prima, era assolutamente insostenibile affrontare un Festival a luce anche degli aumenti in loco: non solo gli alberghi, tutto ha dei costi in una città dove è difficile anche la logistica. Già solo arrivare a Sanremo ha un costo. Poi l’ospitalità, i van. Gli artisti ora viaggiano con una serie di soggetti che ruotano intorno: il mondo della musica è cambiato e la parte social è diventata importante. Le continue attività online richiedono presenza e assistenza. Anche l’hair stylist, di cui l’artista può aver bisogno 24 ore su 24, ha un costo”, conclude Mazza.


